Un altro passo verso una soft Brexit

A cura di Léon Cornelissen, Chief Economist di Robeco

Il Regno Unito sembra destinato a rimanere in un limbo, né dentro né fuori dall’Unione Europea. Dopo l’ennesimo capitolo dell’epopea Brexit, che ha visto le dimissioni nella giornata di lunedì di due delle figure chiave del Gabinetto come forma di protesta verso la proposta del Primo Ministro May di rimanere di fatto all’interno del Mercato Unico dell’UE.

Il Segretario di Stato per la Brexit David Davis e il Segretario di Stato per gli Affari Esteri Boris Johnson hanno lasciato il governo dopo la riunione di Gabinetto volta a raggiungere una qualche forma di compromesso. Theresa May spingeva per mantenere un mercato libero e conservare un ruolo di primo piano presso la Corte di Giustizia Europea limitando le libertà di movimento degli individui – una “soft-Brexit”. Davis e Johnson sono a favore di una piena uscita dall’UE a partire dal 29 marzo 2019, una hard-Brexit che taglierebbe i ponti con il Mercato Unico e con l’unione doganale. Questo causerebbe tuttavia un enorme problema legato alla gestione del confine tra Irlanda del Nord e Irlanda nel caso in cui il Regno Unito lasciasse il Mercato Unico senza aver previsto un sistema alternativo.

Il Regno Unito si sta quindi avvicinando sempre più a una Brexit solo di nome, o BRINO, che sarebbe anche il risultato più positivo per gli investitori. Molto semplicemente, le alternative sono decisamente peggiori.

Theresa May non è riuscita a temporeggiare oltre, e al momento ha sulla propria scrivania un documento di 120 pagine – che deve ancora essere pubblicato – in cui viene illustrata la strategia per una soft-Brexit. Ha rinunciato a diversi elementi che venivano considerati inaccettabili dall’UE ed è sicuramente un passo avanti verso la BRINO, tuttavia è aumentato il rischio per il governo che questa soluzione non soddisfi i sostenitori di una hard-Brexit. Il problema del confine irlandese sarebbe risolto, ma molto probabilmente l’UE vedrebbe inaccettabile il tentativo di limitare il libero movimento dei lavoratori come, quindi andrebbero fatte ulteriori concessioni per il raggiungimento di un accordo.

Il tempo stringe, ed è necessario fare una serie di passi avanti sulle questioni legate al confine con l’Irlanda, ai lavoratori stranieri e alla procedura di uscita definitiva entro ottobre. In caso contrario, il Regno Unito si troverebbe fuori dall’UE senza alcun tipo di accordo. Il compromesso è inevitabile dato che tutte le alternative a cui si trova di fronte il governo sono decisamente peggiori.

Si parla di un possibile cambio di leadership per il partito conservatore, se non addirittura di nuove elezioni. Appare improbabile, dato che difficilmente i sostenitori di una hard-Brexit riuscirebbero ad avere il sostegno dei 48 membri del Parlamento necessari per spodestare Theresa May, e ancor più difficile sarebbe avere un hard-Brexiteer a capo del partito Tory. È molto più probabile che il governo continui sulla sua strada.

Altri dicono che sia il momento di un secondo referendum sul leave, che sembra altrettanto improbabile dato che l’opinione pubblica, nonostante qualche passo avanti in favore del remain, non sembra essere sufficientemente contro la Brexit da garantire un risultato positivo. Inoltre, non ci sono i tempi necessari per un referendum ben organizzato.

Il Regno Unito potrebbe anche chiedere all’Unione Europea di posticipare l’uscita del 29 marzo – teoricamente possibile in caso di voto a favore di tutti gli altri Stati membri, ma è probabile che l’UE rifiuti.

L’ultima opzione – uscire dall’Unione a marzo 2019 senza alcun tipo di accordo – che è anche la meno plausibile. Gli scambi commerciali sarebbero di fatto bloccati, i movimenti delle persone stravolti e la sterlina crollerebbe. Il governo non è assolutamente preparato a uno scenario del genere, che è quindi da escludere. Una hard-Brexit avrebbe risultati simili sull’economia del Regno Unito, quindi anche questa possibilità è di fatto da escludere.

È molto più probabile che il governo presto o tardi ceda alle richieste dell’Unione Europea, almeno momentaneamente, in modo da fare qualche passo avanti verso un accordo che risulti quanto meno credibile. Ci si troverebbe poi in una nuova fase di stallo, in cui negoziare i termini definitivi dell’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea, che potrebbe durare anni. Sembra esserci più che un fondo di verità in una vecchia battuta sul Regno Unito, che avrebbe impiegato dieci anni per uscire dall’Unione e dieci anni successivi per tornare a farne parte.

Nel frattempo, gli investimenti continueranno a essere danneggiati e la sterlina sarà sempre vista come una valuta rischiosa. Tutta l’attenzione sarà sul prossimo incontro della Bank of England, in programma per il 2 agosto. Attualmente i mercati attribuiscono a un rialzo dei tassi una probabilità del 74%, comprensibile visti i toni recenti ma comunque improbabile secondo noi, in parte a causa dell’incertezza che continua a pesare sugli investimenti di lungo termine. Tuttavia il numero di membri dell’MPC favorevoli ad un rialzo continua ad aumentare, quindi mai dire mai.

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