L’incertezza politica e commerciale pesa sui listini

A cura di Michele Morra (Portfolio Manager) e del Centro Studi Moneyfarm

I temi su cui i mercati stanno focalizzando la loro attenzione sono (e saranno anche nelle settimane a seguire) la politica commerciale degli Stati Uniti e l’instabilità politica del vecchio continente: nell’ultimo mese, infatti, l’incertezza in questo senso in Europa e nel Regno Unito ha avuto un progressivo aumento di intensità. Se da un lato i mercati erano già a conoscenza dell’inedito governo Lega-M5S, e quindi consapevoli dell’insicurezza della direzione che l’Italia possa prendere all’interno dell’Unione, dall’altro sono una novità l’instabilità del governo tedesco e la necessità per la Germania di trovare una dialettica più solida tra i membri della sua coalizione.

In questo contesto si inseriscono le continue divisioni del governo del Regno Unito, che sono culminate con le dimissioni di alcuni importanti membri del gabinetto di Theresa May.

Dall’altra parte dell’Atlantico tiene banco la guerra commerciale dichiarata da Trump. L’incertezza sulle politiche protezioniste rende l’amministrazione Usa un partner negoziale sempre meno credibile, con un effetto negativo sulla business confidence a livello globale.

Nonostante ciò, il contesto macroeconomico sembra tutto sommato positivo. Gli indicatori USA rimangono robusti, con una crescita stimata per il 2018 del 2.9% e per il 2019 del 2.4%, mentre l’Europa si caratterizza per un leggero rallentamento delle previsioni (2.2% nel 2018 e 1.9% nel 2019). Sono confermate le stime positive di inflazione per i prossimi 2 anni sia per Usa (2.3% e 2.6%) sia per l’Eurozona (1.6%). Diverso il discorso per le economie emergenti con indicatori macro meno positivi del previsto.

A livello globale le valutazioni dell’azionario si sono abbassate nell’ultimo periodo, con una convergenza importante verso la media storica per i listini delle economie sviluppate. L’azionario dei mercati emergenti rimane invece meno attraente viste le valutazioni comunque superiori alla media storica. L’opinione del Comitato di investimento si orienta verso l’azionario dei paesi sviluppati rispetto a quello dei paesi emergenti, più a rischio di perdita e meno propenso a sovraperformare nei prossimi mesi.

Lato obbligazionario, si preferiscono le scadenze brevi vista l’attuale fase di rialzo dei tassi, già avviata o in fase di lancio delle varie banche centrali. Nell’ultimo periodo si sono a ogni modo venute a creare delle opportunità interessanti come i rendimenti delle obbligazioni governative USA a breve termine (2.54% a 2 anni). Tassi di interesse attraenti si individuano anche per il debito dei paesi emergenti, da monitorare e prendere in considerazione con la giusta cura a causa del rischio valutario. Diverso il discorso del debito governativo europeo, che ha ancora tassi eccessivamente bassi per il loro rischio.

Decisioni di asset allocation

Il nostro Comitato di investimento a luglio ha deliberato i ribilanciamenti per tutte le linee di gestione, con modifiche di portata limitata, viste la tenuta e la stabilità dei portafogli nella prima parte dell’anno e dato che le previsioni non hanno subito notevoli revisioni.

Per le due linee più conservative vengono introdotte le obbligazioni governative USA con scadenza a breve termine (media 2 anni), e con un coupon medio superiore al 2.5%. Inoltre viene effettuato un disinvestimento parziale in Bond Europei, a causa dei rendimenti poco interessanti. L’inserimento di Bond Governativi 1-3 anni in dollari statunitensi fa aumentare fisiologicamente la volatilità a fronte di un extra rendimento.

Sulle linee più aggressive, e quindi dove il peso dell’azionario è prevalente in termini di contributo di volatilità, il Comitato Investimenti ha deciso di ridurre l’esposizione all’azionario dei paesi emergenti, investendo la liquidità ricavata nell’azionario dei paesi sviluppati, inoltre per alcuni portafogli viene incrementata anche l’esposizione alle materie prime, viste le stime globali di inflazione in crescita.

Tensioni commerciali

A giugno nell’arena politico-economica internazionale si è decisamente alzata la temperatura. Washington ha annunciato nuovi dazi e Cina ed Europa hanno risposto. Sui giornali si parla di ‘guerra commerciale’. Non c’è un metodo scientifico per distinguere una “guerra” da quello che potrebbe rivelarsi un semplice aggiustamento delle politiche in materia di scambi e, come abbiamo già avuto modo di spiegare, non siamo eccessivamente preoccupati per gli effetti economici di medio termine di tali politiche.

Va infatti detto che, almeno per ora, le misure protezionistiche hanno riguardato un numero particolarmente limitato di merci e di tratte rispetto alla totalità degli scambi a livello globale. Per quanto riguarda l’Unione Europea, i dazi imposti su alluminio e acciaio riguardano meno del 3% del totale delle esportazioni verso gli Stati Uniti (meno dell’1% delle esportazioni totali). E se guardiamo agli Stati Uniti nel loro complesso, il loro peso sul commercio globale è attorno al 12%, cifra rilevante ma che mostra come il libero scambio globale oggi viva.

In questo contesto è legittimo che i paesi che presentano forti squilibri provino ad aggiustare la propria bilancia, il che potrebbe anche impattare sui listini e sui mercati valutari nel brevissimo termine. Insomma, la situazione va monitorata con attenzione specialmente guardando al possibile effetto contagio di alcuni settori più esposti o più ciclici. La diversificazione settoriale, a ogni modo, resta la via maestra per ridurre la propria esposizione in caso di eventuale escalation dei dazi.

 

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