Niente intesa su class action e Brunetta minaccia le dimissioni

La pubblica amministrazione accende gli animi e si sa. Quando si parla di statali non ci sono mezze misure. O santi o dannati. Non sentirete mai qualcuno dire “credo che l’amministrazione pubblica sia abbastanza soddisfacente” oppure “credo che l’amministrazione pubblica sia abbastanza deludente”. O è un baluardo o una croce. Figuriamoci poi, che pandemonio scatta se ci si butta dentro anche una eventuale class action.

Ebbene, se il decreto di attuazione della legge delega di riforma della pa non verrà trasmesso al parlamento entro due gironi, Renato brunetta lascerà il governo. Ad annunciarlo è stato lo stesso ministro, che durante un congresso a Fiuggi con la Cisl, ha ammesso di avere problemi con i governo. Pare che alla base di tutto ci siano le tensioni con Giulio Tremonti, che avrebbe chiesto la modifica di alcuni punti chiave. Per esempio, non è ben vista la riserva del 25% per la scelta dei dirigenti di prima fascia con incarichi temporanei tramite contratti di diritto così come persistono dubbi sull’istituzione degli organismi indipendenti di valutazione, che andrebbero a prendere il posto del Secin. Non ultima, c’è la possibile modifica della class action.

La norma prevede per ogni interessato che subisce un danno dalla pubblica amministrazione, di agire in giudizio, da solo o attraverso le associazioni dei consumatori. Non è previsto un rimborso, ma se il danno perdura allora si può ricorrere alla sostituzione del funzionario pubblico o addirittura al commissariamento del servizio pubblico in questione.

Queste modifiche, nelle parole di Brunetta, stravolgerebbero il testo e il senso della riforma (6 titoli e 83 articoli). La sfida a Tremonti è ormai lanciata. E, mai come i questo caso, la frase “ne rimarrà soltanto uno” potrebbe rivelarsi azzeccata.

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