Fed e BCE in azione ed è solo l’inizio

Di Tyler Tucci, Vice President Fixed Income, TCW

Nel corso delle ultime settimane, i rendimenti dei Treasury decennali sono rimasti sostanzialmente invariati, mentre la parte breve della curva statunitense ha continuato a registrare un selloff, incoraggiato dall’atteggiamento restrittivo della Fed. Questa debolezza ha provocato un restringimento dello spread tra i titoli a 2 e 10 anni fino a 31,5 punti base, sui minimi da un decennio. Allo stesso modo, il differenziale tra i Note a 5 e 30 anni ha chiuso il mese di giugno a 25 punti base, anche in questo caso sul livello più basso da una decade.

Dal FOMC di giugno è emerso un messaggio ottimistico e orientato al restringimento monetario, che ha evidenziato un grado elevato di soddisfazione nei confronti del contesto economico e del ritmo di normalizzazione della politica monetaria. È stato preso atto del continuo calo del tasso di disoccupazione, così come dell’aumento della spesa delle famiglie. Di conseguenza, il Comitato ha dichiarato di aspettarsi ulteriori “aumenti” graduali, coerenti con un’espansione costante, un mercato del lavoro “solido” e un’inflazione prossima al target simmetrico della Fed del 2%. Nella dichiarazione finale, il Comitato non ha invece citato gli ultimi sviluppi internazionali.

Sono diversi i segnali che hanno messo in evidenza la propensione del FOMC per un irrigidimento della politica monetaria:

  1. Il dot mediano per il 2018 è salito a 2,375% da 2,125%
  2. Il dot mediano per il 2019 è salito a 3,125% da 2,875%
  3. Nella dichiarazione finale è scomparso il riferimento al fatto che i tassi rimarranno sotto i livelli di lungo periodo per diverso tempo
  1. Le stime del FOMC di lungo periodo del tasso di disoccupazione di equilibrio (NAIRU, Non-Accelerating Inflation Rate of Unemployment) è rimasto al 4,5%, segnalando che il Comitato è favorevoli a incentivare un’occupazione più elevata tramite una politica restrittiva

Nel complesso, la Fed si aspetta ancora un totale di otto rialzi dei tassi fino al 2020 e, in particolare, 4 aumenti nel 2018, 3 nel 2019 e 1 nel 2020.

Dall’altra parte dell’Atlantico, la Banca Centrale Europea ha deciso di non rimandare ulteriormente la propria decisione sul QE, annunciando un tapering breve di tre mesi che porterà a chiudere il programma di acquisto asset a dicembre. La riduzione degli acquisti mensili della portata di 15 miliardi di euro coinciderà con i quasi 12 miliardi di euro di reinvestimenti del QE previsti per lo stesso mese. L’annuncio non ha provocato particolari reazioni di mercato, a differenza del messaggio lanciato dal Presidente Draghi sui tassi, nel momento in cui ha dichiarato di non aspettarsi cambiamenti nei tassi almeno fino all’estate 2019.

Non si tratta affatto di una promessa circa un aumento del tasso sui depositi da qui a un anno. Piuttosto, è stata un’indicazione sul fatto che tra la fine del QE e il primo aumento del costo del denaro intercorrerà un gap di 6-9 mesi. Questo periodo sarà ragionevolmente lungo per valutare la performance dell’economia e decidere se un inasprimento monetario sarà appropriato o meno.

Certamente i mercati sanno bene che l’ultima conferenza di Draghi prima della fine del mandato si terrà il 24 ottobre 2019, motivo per cui l’attenzione ora si focalizzerà sul capire dalle sue parole se il Presidente riuscirà o meno ad attuare un aumento dei tassi prima di lasciare l’incarico.

Nel frattempo, le politiche monetarie dei policymaker delle economie avanzate continuano a rappresentare una fonte di sgomento per i Mercati Emergenti. Quando la parte breve della curva inizia a salire nelle economie avanzare, i capitali in dollari diventano più scarsi e più costosi, e il costo del debito aumenta per i debitori emergenti aumenta. Questo legame sembra essersi palesato in giugno, in quanto l’aumento degli spread e i deflussi di capitali hanno toccato livelli comparabili a quelli toccati all’epoca del taper tantrum. Naturalmente, l’impatto si è sentito nelle economie emergenti che dipendono maggiormente dai finanziamenti stranieri, come la Turchia, la Malesia, l’Argentina e il Messico. Inoltre, i movimenti a livello di mercati dei tassi locali potrebbero essere stati esacerbati dalla mancanza di politiche monetarie credibili, per affrontare l’inasprimento delle condizioni di liquidità a livello globale e il deprezzamento delle valute locali.

La prima metà dell’anno tutto sommato è risultata in linea a quanto atteso dal consenso. Tuttavia, le aspettative per la seconda metà del 2018 sono meno unilaterali, in quanto gli operatori di mercato stanno iniziando a schierarsi in base ai diversi risultati attesi per la serie di eventi rischiosi in calendario per il semestre rimanente. In questo scenario, in cui c’è spazio per un’ampia varietà, ci sarà un numero di catalizzatori sufficiente a far uscire i Treasury dalla stagnazione.

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