Dazi, rialzi dei tassi ed elezioni americane rallentano i mercati

“Mi attendo una fase di stanchezza dei mercati da qui a novembre, tra guerre commerciali, tassi in rialzo ed elezioni di mid-term americane. Se con l’Europa si è delineata una tregua commerciale, con la Cina le cose saranno più complicate e mi aspetto un atteggiamento piuttosto aggressivo da parte dell’amministrazione Usa, anche per fini elettorali”. È l’analisi di Maurizio Novelli, gestore del fondo Lemanik Global Strategy.
Negli Stati Uniti è iniziata una fase che porterà a una collisione tra debito e sua sostenibilità e le recenti critiche di Trump verso le intenzioni della Fed di continuare nel rialzo dei tassi confermano il populismo finanziario che sostiene il ciclo economico e politico dell’amministrazione Usa. Nella fase iniziale di questo ciclo, il debito ha iniziato a risalire ma il suo costo era rimasto fermo, adesso il debito continua a salire ma anche il suo costo lo sta facendo. Nel frattempo gli Stati Uniti cercano di spingere altri paesi come la Cina e l’Europa ad adottare il modello americano di crescita dei consumi interni per sostenere un ciclo dell’economia mondiale ormai insostenibile con il solo debito privato e pubblico degli Usa. Con la minaccia dei dazi cercano dunque di spingere i paesi esportatori a consumare più prodotti americani e a stimolare la domanda interna, riducendo il risparmio e l’avanzo commerciale. I giapponesi e i tedeschi non hanno però modificato il loro modo di essere e probabilmente anche i cinesi faranno lo stesso.
“Per quanto riguarda l’immediato futuro, continuiamo ad assistere alla dicotomia tra mercati sostenuti dai buy back e mercati che si muovono in modo meno dirigistico”, spiega Novelli. “Il risultato è che l’America continua a salire mentre l’Europa è entrata in una fase di ombra e gli emergenti sono in fase ribassista. In questo contesto, sono solo gli americani a festeggiare, nella speranza che le minacce sui dazi possano indurre il resto del mondo a sostenere l’America first“.
Oggi tutto il mondo è appeso al trend del debito americano. Il dollaro è ormai in una banda di fluttuazione da mesi, l’oro è compresso tra 1200 e 1300 dollari da circa due anni, tutte le borse (tranne quelle Usa) sono tendenzialmente in una fase di side market o, peggio ancora, in ribasso. Gli spread sul credito sono però già in allargamento da circa sei mesi e i tassi stanno salendo un po’ ovunque. Il Pil americano ha evidenziato il suo picco ciclico con il dato del secondo trimestre e da qui in avanti si riporterà verso il suo tendenziale di crescita del 2%, con evidenti implicazioni negative per il dollaro e possibile rimbalzo tecnico per le asset class emergenti. Le elezioni di mid-term produrranno una pausa ai listini Usa, con Trump che ha dichiarato che renderà gli sgravi fiscali permanenti, ma solo dopo le elezioni e in caso di vittoria.
“Il mercato del credito ha iniziato a evidenziare che siamo sul picco del ciclo finanziario e il Pil americano dovrebbe confermare che abbiamo toccato anche il picco del ciclo espansivo dell’economia mondiale”, spiega Novelli. “Per questo motivo abbiamo iniziato ad accumulare posizioni long sui treasury a 10 e 30 anni, ad acquistare bonds dei paesi emergenti in dollari e euro e manteniamo una posizione short sugli equity markets, in particolare su DAX e Eurostoxx. La posizione valutaria evidenzia una posizione short su dollaro vs euro del 7%, ma la strategia è orientata ad aumentare tale esposizione nelle fasi di rafforzamento del dollaro”.

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