Trump Made America Great Again?

A cura di Steven Bell, Chief Economist di Bmo Global AM

A livello globale, la crescita economica rimane robusta ma vale la pena sottolineare che mentre il tasso di espansione è aumentato nel 2017 (dopo quattro anni deludenti) quest’anno le aspettative si sono attenuate. Il Purchasing Managers Index (PMI), l’Indice composito dell’attività manifatturiera per i paesi chiave rimane sopra il 50 – indicando quindi una crescita – ma ci sono stati cambiamenti significativi da quando, l’anno scorso, l’Europa era al primo posto. Le tendenze degne di nota includono gli Stati Uniti che riprendono il loro ruolo di “leader della crescita globale” e un lieve declino per l’Europa.

La ripresa dell’economia europea è stato uno dei temi cardine del 2017, ma quest’anno le previsioni di crescita sono state riviste al ribasso. Il contesto si mantiene positivo, con la crescita superiore alla media e la disoccupazione in calo. La Germania sta facendo bene, un segnale confortante anche per il resto dell’area Euro. Suggerisce inoltre che i tassi possano finalmente crescere per il 2019. Per ora, il costo dei finanziamenti rimane contenuto e le piccole e medie imprese (importante fattore di crescita) sono in grado di accedere al capitale a un costo relativamente basso. È importante sottolineare che le istituzioni finanziarie sono ora disposte a concedere prestiti alle aziende, una situazione in netto contrasto con la posizione di alcuni anni fa.

La tematica della Brexit continua a dominare la scena politica in Inghilterra, pesando sulle prospettive economiche del Paese e contribuendo a peggiorare l’indice composito dell’attività manifatturiera (PMI). L’economia inglese è caratterizzata da un importante e crescente deficit del commercio di beni e da uno speculare surplus dei servizi.  La maggior parte dei dibatti riguardano il commercio e un accordo è necessario per alleviare i timori delle multinazionali, come ad esempio Nissan che investe molto nei centri di produzione basati nel Regno Unito.

Dato il surplus dei servizi, le prospettive per questa parte di economia sono più significative, e le società finanziare stanno già adottando modelli operativi post Brexit. Ci saranno alcuni ostacoli e contrazioni per il settore finanziario, ma confrontando gli aspetti positivi offerti dal Regno Unito contro alcune delle sfide associate alla prospettiva di operare in Europa, è difficile credere che la posizione di Londra sia realmente minacciata.

Un quadro simile emerge per i servizi non finanziari con sede nel Regno Unito – i cui clienti spesso provengono comunque dal di fuori dell’Unione Europea. Ovviamente, bisogna riconoscere che la Brexit rende il Regno Unito meno attraente di quanto non fosse prima con una serie di molti ostacoli in vista.

Le condizioni dell’economia statunitense e l’andamento dell’inflazione hanno senza dubbio conseguenze al di fuori dei soli confini a stelle e strisce. L’inflazione è in crescita, dopo l’inaspettata debolezza del 2017. La normalizzazione del settore immobiliare e dei costi della sanità hanno contribuito alla crescita dell’inflazione, ma l’aumento dei salari e i prezzi delle importazioni hanno inciso maggiormente. L’insieme di questi fattori fanno sì che l’inflazione – utilizzando la misura prediletta dalla Fed, il deflatore di spesa dei consumatori (esclusi cibo ed energia) – si stia muovendo oltre l’obiettivo del 2%, che a sua volta significa una probabile continuazione del ciclo di inasprimento dei tassi.

L’aumento dell’inflazione e quindi dei tassi di interesse non sono buone notizie per i titoli governativi, di conseguenza siamo relativamente cauti sulle prospettive dei Treasury USA. Inoltre, il supporto degli investitori stranieri di cui tradizionalmente godevano i Treasury è diminuito. Altrove nel reddito fisso, le valutazioni non sembrano particolarmente convincenti.

Le prospettive per l’azionario appaiono più luminose ma non eccezionali. La recente stagione delle trimestrali negli Stati Uniti è stata molto positiva, le aspettative erano elevate e gli investitori non sono rimasti delusi. Nonostante le recenti preoccupazioni politiche, le prospettive per le azioni europee continuano a essere incoraggianti: la forza dell’euro ha recentemente ostacolato la performance, ma il contesto economico è solido e vi è una maggiore possibilità di superare le aspettative sugli utili.

Più in generale, abbiamo una preferenza per i mercati sviluppati rispetto ai Paesi emergenti. Le economie sono positive mentre la forza del dollaro, i più alti tassi di interesse e l’incertezza politica suggeriscono che i mercati emergenti saranno caratterizzati da una maggiore volatilità senza (in questa fase) rendimenti significativamente più elevati. Per questo abbiamo ridotto l’esposizione ai mercati emergenti.

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