La consulenza premia

Si concludeva quel contributo argomentando che da quel conflitto di interessi sarebbe stato possibile uscire solo abbandonando la logica della retrocessione delle commissioni di gestione per andare a remunerare l’attività di assistenza alla clientela con una vera e propria fee di consulenza. Per evitare poi che si continuasse a giudicare l’attività di collocamento per definizione in contraddizione con l’attività di consulenza fee only, si era voluto dimostrare come, al contrario, solo potendo offrire contestualmente entrambi i servizi, si poteva davvero fare gli interessi della clientela privata. 

Rispetto a queste riflessioni di carattere generale già affrontate nei precedenti numeri di Advisor ciò che si vuole dimostrare in questo contributo è che è possibile offrire un servizio di qualità alla clientela senza che, per questo motivo, il pay in della banca o della Sim e, quindi, a cascata, il ricavo netto del promotore o del private banker, si debba ridurre. Anzi, al contrario, potendo intervenire, grazie all’approccio consulenziale, su tutte le sacche di inefficienza che il mercato attuale fa registrare, non è difficile scoprire come, a fronte di un cliente che paga in linea o addirittura meno di quanto stava pagando nel servizio di collocamento, il promotore possa registrare una redditività superiore a quella che era abituato a percepire nella sua classica attività di collocatore, intrisa di tutta quella serie di conflitti di interesse con i quali è diventato sempre più difficile poter convivere. Detto in altri termini, al fine di dimostrare che la scelta di passare alla consulenza a parcella non è una scelta di salto professionale abbinata, però, a un sacrificio di carattere economico, si è voluto predisporre un esempio di due portafogli, l’uno “in collocamento”, l’altro “in consulenza”, costruiti per rispondere alle esigenze di un ipotetico cliente che mette a disposizione un importo di 600.000 euro per la costruzione di un portafoglio che si caratterizzi per un profilo di rischio medio-elevato (30% azionario, 50% obbligazionario, 20% monetario). Ai fini dell’esemplificazione, si è voluta prendere in esame l’operatività di una SIM sia di collocamento, sia di consulenza a parcella (Independent Private Bankers SIM) che, sin dal 2004, anticipando le novità che sarebbero state poi introdotte dalla MiFID e interpretando quelli che sarebbero stati i nuovi trend in atto nel settore della consulenza alla clientela privata, ha voluto mettere i propri bankers nella condizione di poter servire la clientela privata con differenti modalità di approccio. 

La tabella 1 evidenzia la composizione che il portafoglio avrebbe se il cliente venisse servito con il tradizionale approccio del collocamento, potendo attingere, quindi, dalle varie case di gestione convenzionate con la SIM stessa. 

Come si noterà, tenendo conto sia del Total Expense Ratio che caratterizza i diversi prodotti di risparmio gestito in collocamento, sia della composizione del portafoglio, il cliente si ritroverebbe a sostenere un costo complessivo pari all’1,58%. 
A fronte di questo costo del cliente, la SIM registrerebbe, grazie alle retrocessioni ottenute dalla diverse case di asset management, un pay in dello 0,94% (che corrisponde ad una percentuale media di rebates rivenienti dalle varie case di gestione pari al 67% delle management fee dei prodotti di risparmio gestito acquistati dal cliente) e, a cascata, il banker (che in IPB SIM percepisce il 60% di quello che la SIM a sua volta incassa) registrerebbe una redditività media, su questo portafoglio del cliente, pari allo 0,56% (che costituisce, comunque, una redditività di fascia medio-alta nell’ambito dell’attività classica di collocamento).

La tabella 2 presenta la proposta che potrebbe essere fatta allo stesso cliente, sul medesimo portafoglio, seguendo la filosofia della consulenza a parcella. 

E’ facile osservare che, al posto dei soli fondi e Sicav, ora compare qualche titolo, qualche Etf, qualche fondo passivo (tutte cose che, ovviamente, in un portafoglio remunerato con la logica della retrocessione non avremmo mai ritrovato): se alla fee di consulenza (che per un portafoglio di questa dimensione e con questo mix tra azionario-obbligazionario-monetario si colloca su una fascia medio alta, pari all’1,20% su base annua), si somma il costo dei sottostanti e si sottraggono, invece, le fee che la SIM percepisce dalle case di gestione dei fondi presenti nel portafoglio del cliente (e che, per contratto, in un rapporto di consulenza, vengono restituite al cliente stesso), si registra un costo finale per il cliente pari all’1,51% (di poco inferiore all’1,58% che aveva pagato poco fa in collocamento), con una SIM che incassa l’1,20% della fee di consulenza ed un banker che, quindi, incassando il 60% dell’1,20%, ottiene una remunerazione pari allo 0,72%.
La conclusione semplice, ma al tempo stesso importantissima, che si trae dall’esempio proposto è che il passaggio alla consulenza ha consentito, da un lato, al cliente di sostenere lo stesso costo per avere, però, in cambio un servizio migliore e, dall’altro, al banker di non sentire più il peso dei conflitti di interesse con i quali è condannato a convivere in collocamento e di essere, paradossalmente, remunerato di più per un servizio offerto che si caratterizza, indubbiamente, per maggiori contenuti di professionalità. Una riflessione importante per chi – e sono tanti in questa fase di profonda crisi dei mercati finanziari – si sta interrogando sulle possibili soluzioni da adottare per servire in modo più professionale la propria clientela senza per questo dover rinunciare alla remunerazione per il lavoro di analisi/selezione/monitoraggio svolto a favore della clientela stessa. 

 


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