Parola d’ordine: massima cautela

Mentre Wall Street continua imperterrita a correre e i listini europei, in connubbio con la moneta unica, stentano a recuperare il passo, sono entrati in settimana ufficialmente in vigore i nuovi dazi al 25% sull’import Usa di prodotti“made in China”. Si tratta della seconda tranche dei 50 miliardi di dollari voluti da Trump, cui Pechino aveva risposto con una mossa speculare su 300 beni Usa (ora tassati al 25%), che conferma un’escalation ormai inarrestabile nonostante i continui colloqui bilaterali. E causando, di riflesso, un’indebolimento negli ultimi sei mesi dello yuan rispetto al dollaro dell’8,5% circa, del 18,5% del’indice azionario cinese Csi 300 e di quasi il 16% dell’indice Msci Emerging Markets.

Non solo. L’indomito Donald ha poi rincarato la dose confermato la volontà di mettere un tassa (sempre del 25%) su ogni auto europea che entrerà in Usa, con l’obiettivo di colpire soprattutto la Germania, che vanta un surplus commerciale nei confronti degli Usa. Anche in questo caso, nonostante i continui colloqui tra Bruxelles e Washington. E a farne le spese qui sono soprattutto le Borse del Vecchio Continente, oltre che l’euro.

Tenendo poi conto che, statisticamente, settembre è uno dei mesi peggiori per le Borse, ciò che più preoccupa gli investitori, a cominciare dagli istituzionali, è però la concreta possibilità di un aumento di un aumento dei tassi Usa già a settembre (terzo rialzo da inizio anno) nonostante la guerra commerciale in atto. Con il rischio, seppure prospettico (ma non troppo), di esaurire prima di quanto ci si possa aspettare la fase di crescita economica mondiale.

Come comportarsi in questa fase? Il suggerimento di FinanzaOperativa è di mantenere (ove ci siano), almeno per il momento, le proprie eventuali posizioni sull’azionario statunitense, monitorando però con estrema attenzione i livelli di supporto dell’S&P500 (il primo coincide a 2.835 punti con il passaggio della media mobile a 21 sedute) e il secondo, cruciale, a quota 2.800. Ed eventualmente di ridurre l’esposizione ai listini europei, a cominciare dal settore bancario dei periferici (leggi istituti di credito quotati a Piazza Affari), e sui Paesi emergenti.

 

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