Dove investire ora? La view di Columbia Threadneedle

A cura di Adrian Hilton, Responsabile tassi globali e investimenti valutari, Reddito fisso di Columbia Threadneedle Investments
A inizio anno, i mercati mondiali sembravano coinvolti in una ripresa economica ampiamente sincronizzata, dopodiché il verificarsi di diversi eventi ha concorso a stemperare questo ottimismo.
 A dicembre 2017 gli Stati Uniti hanno varato un importante pacchetto di riforme fiscali, seguito a stretto giro dalla legge sulla spesa pubblica a febbraio 2018. Sebbene tali misure abbiano apportato forti stimoli fiscali negli USA, alcune delle principali economie hanno cominciato a indebolirsi.
La fase di debolezza per l’eurozona è cominciata a febbraio. L’Europa era reduce da un inverno difficile, con una serie di scioperi dei dipendenti pubblici per motivi salariali. La produttività della Germania è stata frenata da un’ondata di influenza. Nel frattempo l’export dai paesi asiatici ha cominciato a decelerare, a riprova di un rallentamento del commercio globale che ha eroso la produzione manifatturiera europea.
Di colpo gli Stati Uniti si sono ritrovati ad essere l’unica economia che viaggiava a pieno regime. All’inizio del secondo trimestre il biglietto verde, in calo per gran parte dello scorso anno, ha cominciato improvvisamente ad acquistare vigore. Di pari passo con l’arretramento dell’Europa, si è ampliato anche lo spread tra tassi d’interesse statunitensi ed europei.
Questi avvenimenti hanno messo a dura prova la capacità degli investitori di formulare previsioni per il 2018. Nel primo trimestre si è finalmente concretizzato l’aumento dei rendimenti che molti investitori avevano atteso per gran parte del 2017. I rendimenti delle obbligazioni USA a 10 anni hanno raggiunto il 3%, innescando un dibattito sulla fine del pluridecennale mercato rialzista per le obbligazioni, nonché previsioni aggressive di rendimenti molto più elevati. In seguito, si è verificato uno stallo anche su questo fronte: dopo aver superato la magica barriera del 3%, i rendimenti non sono più riusciti a proseguire la corsa al rialzo.
In un contesto di sovraperformance dell’economia statunitense, i mercati hanno di recente cominciato a guardare con preoccupazione alla politica commerciale ed estera. L’incombente rischio di un’escalation della guerra commerciale tra Stati Uniti da un lato e la Cina, l’UE e i suoi vicini nordamericani dall’altro ha fatto aumentare il livello di incertezza. Le economie di Giappone ed Europa, dal canto loro, hanno impiegato più tempo del previsto per riprendersi dalle rispettive fasi di debolezza.
Quali eventi erano prevedibili e quali sono state invece le sorprese per lei nei primi sei mesi dell’anno?
Una delle sorprese è stata la portata del rallentamento della crescita in Europa e Giappone. Va sottolineato, però, che a fine 2017 gli investitori nutrivano aspettative estremamente elevate, che sarebbe stato in ogni caso difficile soddisfare pienamente. È possibile che nella seconda metà del 2017 abbia avuto luogo un ciclo delle scorte e che gli sviluppi della prima metà del 2018 ne siano stati la conseguenza, con un esaurimento delle scorte costituite nel 2017. La durata e portata della fase di debolezza ci ha indotti a cambiare la nostra opinione precedentemente positiva sull’euro e i rendimenti obbligazionari tedeschi.
Il fatto che le riforme USA siano risultate così ambiziose è stata una sorpresa di segno più positivo per le prospettive di crescita statunitensi, come pure la convinzione con cui i Repubblicani hanno appoggiato il pacchetto delle riforme fiscali al Congresso.
Un’altra sorpresa è stata la rapidità del deterioramento del rischio politico in Europa. In chiusura del primo trimestre 2018, le elezioni italiane si sono dimostrate l’evento politico che ha colto maggiormente di sorpresa in ragione dell’orientamento populista.
Sono stati infatti due partiti populisti, Lega e Movimento 5 Stelle, a ottenere consensi molto maggiori del previsto, decidendo poi di unire le forze al termine di prolungati negoziati di coalizione. Per la prima volta un governo europeo è formato da populisti ed euroscettici.
L’esito del voto in Italia ha letteralmente scosso i mercati. Se la terza maggiore economia europea decidesse di lasciare l’euro, ciò solleverebbe inevitabilmente domande esistenziali sul futuro della moneta unica.
Le elezioni italiane hanno fatto riemergere il rischio di ridenominazione, di cui non ci eravamo più dovuti preoccupare fin dai giorni più bui della crisi dell’eurozona nel 2011 e 2012.
 Quali sviluppi si aspetta per il mercato obbligazionario nei prossimi sei mesi?
A nostro parere la crescita negli Stati Uniti resta ragionevolmente solida. Sembra probabile che la Federal Reserve statunitense attuerà due ulteriori rialzi dei tassi nel 2018 e altri due nel 2019. Al di là del breve periodo, non sappiamo però ancora se le riforme fiscali negli USA abbiano realmente modificato il tasso di crescita potenziale dell’economia americana. Non vediamo alcun segnale a conferma di una rivoluzione della produttività in atto. Finché la situazione resterà tale e i tassi di crescita potenziale rimarranno bassi, ci aspettiamo un appiattimento delle curve dei rendimenti statunitensi di pari passo con l’applicazione dei rialzi dei tassi d’interesse. Quest’anno si dovrebbe assistere a un moderato ritorno dell’inflazione, anche se negli Stati Uniti il picco dell’inflazione complessiva potrebbe essere vicino o già raggiunto.
Il recupero dell’attività congiunturale in Giappone e nell’eurozona sta infine cominciando a mostrare i suoi effetti. Nella prima metà dell’anno gli USA hanno registrato un miglioramento marginale della crescita, che secondo le nostre previsioni dovrebbe però diminuire. Una eventuale lieve accelerazione della crescita nel resto del mondo potrebbe essere positiva per l’euro e le valute dei mercati emergenti rispetto al dollaro statunitense, e gioverebbe altresì ai rendimenti obbligazionari europei.
La volatilità è tuttora bassa e, alla luce dei rischi globali più ampi, riteniamo che il livello di compiacenza sia leggermente alto. Benché il nostro scenario di base non preveda una guerra commerciale vera e propria, l’amministrazione statunitense è chiaramente imprevedibile. Se il conflitto commerciale si dovesse effettivamente concretizzare, i rendimenti potrebbero essere generalmente più bassi. Un aumento delle tendenze protezionistiche potrebbe essere molto pericoloso per gli attivi rischiosi e dei mercati emergenti.
Per quanto concerne le valute, il dollaro dovrebbe indebolirsi per più di una ragione. Sulla base dei nostri modelli di valutazione a lungo termine, riteniamo che il dollaro sia sopravvalutato. Anche le misure di stimolo fiscale dovrebbero comportare un aumento dei deficit gemelli, un fenomeno spesso associato a una flessione valutaria. Inoltre, una svolta più protezionistica da parte di Washington, intesa a rendere maggiormente vantaggiosi i propri scambi commerciali col resto del mondo, si tradurrebbe probabilmente in un dollaro più debole.
Quali saranno le principali opportunità e sfide per gli investitori nella seconda metà del 2018?
 Attualmente è impossibile prevedere gli eventi su scala globale e la nostra propensione al rischio è piuttosto bassa, ma in caso di correzione di alcune valutazioni siamo in cerca di opportunità. Una di queste potrebbe essere il dollaro, un’altra il livello effettivo dei rendimenti tedeschi, che si colloca decisamente al di sotto del livello che ipotizziamo per i rendimenti neutrali nell’eurozona. Attualmente il valore non sembra in linea con le prospettive di inflazione o con il livello su cui il premio a termine dovrebbe attestarsi in Germania. La curva del rendimento nel suo insieme è notevolmente inferiore al livello idoneo. Riteniamo che la Banca centrale europea sia molto più prossima a un rialzo dei tassi di quanto appaia dalla curva dei rendimenti.
Le prospettive per i mercati emergenti dipendono molto dal contesto geopolitico. Pur mantenendo un orientamento prudente, riteniamo che gli attivi sia in dollari che in valuta locale celino buone opportunità di valore.
I fondamentali relativi alla crescita giapponese restano vantaggiosi, in un contesto in cui le condizioni tese nel mercato del lavoro dovrebbero esporre l’inflazione a pressioni salariali. A nostro avviso la Bank of Japan (BoJ) non dovrebbe modificare sostanzialmente il proprio orientamento favorevole agli attivi giapponesi, anche se potrebbe cercare di adeguare la forma della curva dei rendimenti. Un effetto collaterale del quantitative easing consiste nel fatto che, quando i rendimenti a lungo termine sono molto bassi, le banche hanno difficoltà a preservare i propri margini di profitto. Di conseguenza la BoJ potrebbe mirare a irripidire la curva dei rendimenti in Giappone al fine di migliorare l’attrattiva degli attivi giapponesi a più lunga scadenza, fattore che potrebbe a sua volta sostenere lo yen.
Cominciamo inoltre a pensare che nei paesi periferici europei, inclusa l’Italia, potrebbero esservi sacche di valore. L’appetibilità delle obbligazioni locali italiane, in particolare per gli investitori nazionali, è piuttosto elevata, e riteniamo che la possibilità di un esito politico catastrofico sia limitata.
Nel Regno Unito siamo alquanto pessimisti sulla capacità della Bank of England di inasprire la politica monetaria in linea con le sue aspettative. Secondo il nostro scenario di base a livello politico, è probabile una ”soft Brexit” ma con una volatilità molto elevata nel periodo di transizione. È difficile formulare previsioni rosee per la sterlina britannica o i rendimenti obbligazionari, soprattutto considerando che, a quanto pare, il picco d’inflazione è ormai alle nostre spalle e le ripercussioni dell’incertezza associata alla Brexit sugli investimenti aziendali restano ancora incerte.

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