Wall Street, “siamo a fine corsa?”

Di Carolyn Bell, investment manager equities di Kames Capital

“Siamo arrivati?” La famosa frase che i bambini ripetono ben prima della fine di un viaggio è la stessa che potrebbero porsi gli investitori dopo che l’azionario Usa ha infranto un altro record, entrando nel bull market più lungo della storia. L’attuale mercato rialzista ha infatti scalzato dal primo gradino del podio quello vissuto negli anni ’90, anche se non è riuscito ad eguagliarne i guadagni nonostante l’indice S&P 500 sia salito di oltre il 300% dal minimo toccato nel marzo del 2009.

L’appellativo di “mercato rialzista più lungo della storia” è in gran parte simbolico e non deve essere tradotto come un’indicazione di un mercato costoso o destinato a cadere. Tuttavia, è bene prendere un momento per riflettere.

Bastano due parole per spiegare come si è giunti a questo punto: quantitative easing. Le banche nazionali hanno dato supporto all’economia e al valore degli asset immettendo liquidità nei mercati e così facendo hanno fatto passi da gigante nel miglioramento dei bilanci dei consumatori in molte regioni. Anche a costo di indebolire i conti nazionali (il rapporto depito/Pil statunitense è più che raddoppiato dal 40% del 2007), purché gli investimenti andassero a foraggiare la crescita.

Ora il QE è in fase di rientro, una decisione che gli investitori azionari statunitensi hanno accolto positivamente, lanciando così il segnale che l’economia americana, e forse quella globale, è pronta ad abbandonare la sua dipendenza dai fondi delle banche centrali. Un altro elemento da considerare è il fattore Trump. Il presidente Usa può essere definito, tra le varie cose, Mr. Deregulation, e il mercato ha votato di conseguenza.

I mercati rialzisti terminano quando la fiducia che li spinge diventa eccessivamente esuberante, generando disequilibri e valutazioni oltraggiose. Non siamo ancora a questo punto. I livelli di investimento (capex), sebbene in crescita, sono ancora modesti, mentre i premi di rischio sull’azionario, intorno al 5%, sono ancora generosi. L’indice S&P 500 scambia a un multiplo di 16,6 volte il rapporto prezzo/utili, con un rendimento sul flusso di cassa libero del 5,2% e un rendimento sul dividendo del 2%. Wall Street potrebbe apparire costosa rispetto ad altre piazze, ma non lo è se confrontata al suo storico.

I fondamentali, inoltre, continuano ad essere di supporto. Le aziende statunitensi (al netto delle società finanziarie) hanno riportato, complessivamente, una liquidità pari a 1.400 miliardi di dollari nel 2017, più che raddoppiando i 600 miliardi del 2008. La crescita del settore tecnologico, in particolare, ha aumentato le capacità di generazione di cassa dell’intero mercato Usa. Così tanta liquidità suggerisce più possibilità di M&A, e un ulteriore fattore di rialzo per il mercato. Le ultime fasi di un bull market possono essere quelle più remunerative.

Il principale rischio a tutto ciò è politico. Le tensioni commerciali e l’ennesima impennata populista in Europa, così come le recenti turbolenze in Turchia che danno segnali di fragilità in alcune aree emergenti, hanno riportato la politica ad un ruolo più centrale di quello avuto durante il 2017. Portare avanti un’idea isolazionista potrebbe essere un autogoal per Trump. L’idea di base è che sia un’arma da poter usare nelle negoziazioni. Business e mercati apprezzano la stabilità politica.

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