Tesoro, mi si sono alzati i rendimenti!

Di Giovanni Pesce, Esperto di mercati finanziari e di valutazione degli strumenti finanziari

Stupisce lo stupore di chi sembra essersi accorto solo oggi che il debito pubblico di un Paese in disaccordo con i vicini, che sostituisce le cariche istituzionali con modalità che generano confusione su ruoli e funzioni, che nonostante abbia una serie di contingenze da risolvere si ostina a concentrare le proprie attenzioni sulle attività delle ONG nel Mediterraneo, abbia ricevuto dagli investitori istituzionali (cioè altamente professionali) una domanda di sottoscrizione del debito in scadenza a  rendimenti sensibilmente più elevati rispetto alle precedenti aste.
Stupisce lo stupore perché è da giugno che i segnali sia a livello macro, sia a livello micro sono estremamente chiari in tal senso.
Infatti, se alla naturale attesa di rialzo dei tassi di interesse delle principali economie evolute sommiamo l’aumento della percezione del rischio (attribuito all’Italia più che ad altri paesi europei) il risultato non potrà che rispecchiare quanto si è effettivamente verificato. E sarà difficile che il processo subisca inversioni, per lo meno fino a quando non verrà dato al mondo finanziario un segnale chiaro di quali siano le priorità che il patto di governo dovrebbe rispettare e, soprattutto, con quali modalità.
Va considerato, inoltre, che il mercato è in attesa della fine del QE, con la conseguente naturale progressione dei tassi, in qualche modo già anticipata dall’offerta di carta finanziaria, che si aggiungerebbe al normale rischio paese già prezzato dallo spread. A quel punto sarà possibile capire quanta liquidità resterà a disposizione per un normale svolgimento degli scambi all’ingrosso di titoli di stato, sia sul primario in occasione delle emissioni, sia sul secondario a sostegno o difesa dei rendimenti logici attesi dai sottoscrittori.
Bisognerebbe far capire chiaramente ai cittadini che i titoli di debito pubblico già in circolazione sono molto più di quelli di nuova emissione, e che sono proprio quelli già collocati, in mano a banche, SIM, SGR e famiglie, a subire gli effetti maggiori quando i rendimenti offerti sul primario salgono a causa del peggioramento della percezione del rischio.
Dallo scorso giugno i titoli in circolazione che eventualmente erano in mano a investitori stranieri sono stati graziosamente restituiti ai mercati secondari efficienti per una discreta percentuale. Inoltre, i circuiti professionali internazionali hanno segnalato attività di trading sui BTP italiani di lunga durata che non potrebbero essere efficaci se non avessero creato posizioni scoperte anche di media durata.
A pagare quindi il prezzo del rialzo dei rendimenti in una asta BTP non è tanto il Tesoro quanto tutti i detentori di titoli omologhi già emessi e collocati negli anni precedenti. Anzi, il Tesoro, essendo riuscito nell’allungamento della vita media e nell’allocazione di tassi fissi e non variabili, ne ha un danno al momento minimo.
Con buona pace di chi garantisce che non verranno mai messe le mani nelle tasche degli italiani.
Amen

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