Focus sull’India: le opportunità secondo Invesco

A cura di Luca Tobagi, Investment Strategist di Invesco e Sujoy Das, Head India Fixed Income e gestore di Invesco India Bond Fund di Invesco
Cominciamo dal punto più importante: la forte convinzione che il nostro team ha, all’interno della propria visione del quadro macro, che l’inflazione sia destinata a rientrare progressivamente verso l’obiettivo di politica monetaria del 4% (+/-2%), se non addirittura a scendere anche al di sotto di questa soglia. È un’affermazione che va, tuttavia, qualificata. Soffermiamoci su alcuni fattori, come l’introduzione della GST (Good and Service Tax) e gli aumenti salariali in alcune categorie, il cui anniversario sarebbe scaduto rispettivamente a fine luglio 2018 e in vari momenti nel corso dell’anno.
Fra giugno e luglio l’indice della crescita dei prezzi ha mostrato un raffreddamento dal 5% al 4.1%. Tuttavia, l’India subisce l’impatto sfavorevole di alcuni elementi che non è in grado di governare. Il primo è il prezzo del petrolio: l’India importa circa l’80-85% del proprio fabbisogno e, in Rupie, il prezzo del greggio aumenta ancora più rapidamente che in Dollari. Il secondo è l’aumento dei prezzi di alcuni prodotti elettronici che l’India importa. Ciò rende il Paese potenzialmente vulnerabile a una guerra commerciale. In terzo luogo, la crisi di Venezuela, Argentina e Turchia, che comprende politica, inflazione alle stelle e crollo delle valute locali, sicuramente non sostiene psicologicamente gli investitori a investire denaro sugli emergenti.
Anche se l’India è in tutt’altra situazione, aspettative di inflazione “elevata”, soprattutto rispetto agli Stati Uniti, possono contribuire, in un circolo vizioso, a un indebolimento della valuta che, oltre a incidere sulla performance del fondo, aumenta l’inflazione importata.
Al netto dei flussi di capitale, che possono alterare la dinamica a favore della Rupia, dal 2012 l’indebolimento medio annualizzato della Rupia contro Dollaro ha riflesso in modo corretto il differenziale medio di inflazione. Nell’ultima fase, tuttavia, la riduzione sistematica di tale differenziale non si è riscontrata nel tasso di cambio, che è stato più debole e forse guidato più dalle aspettative, da fattori psicologici e da deflussi di capitale dal Paese che da altro
In questo contesto, l’unico aspetto strutturale legato all’economia indiana che può avere un’incidenza diretta sull’andamento della valuta è letto in modo negativo. Si tratta del deficit commerciale, che sta passando dall’1.9% del PIL al 2% o poco più e potrebbe raggiungere area 2.3%-2.5%. Ciò dipende dal fatto che l’economia sta crescendo a tassi più sostenuti di tutti, e questo porta con sé un aumento delle importazioni. L’India esporta, ma sappiamo che il suo motore di crescita, a differenza di altre potenze asiatiche, è ciò che avviene all’interno del Paese.
…ma le opportunità non mancano. Sul versante positivo, le novità non solo molte, ma ci sono! Questo perché la storia dell’India rimane solida, sia dal punto di vista della crescita economica, sia dal punto di vista della politica, dove la leadership corrente dovrebbe mantenere il governo ancora per qualche anno, soprattutto in assenza di appuntamenti elettorali di rilievo, sia a livello di Paese, sia di singoli Stati.
La Banca Centrale, nell’ultimo meeting, ha rilasciato dichiarazioni attendiste: la politica monetaria rimane dipendente dai dati, ma, se lo scenario non cambia, il percorso di rialzo dei tassi può considerarsi esaurito sulla base delle condizioni economiche correnti.
Anche in una fase turbolenta per tutto l’aggregato emergente, i fondamentali contano. Dopo una fase di fuga di capitali dagli emergenti che, fra febbraio e luglio di quest’anno ha visto oltre 7 miliardi di Dollari uscire dall’obbligazionario indiano, fra luglio e agosto ci sono stati investimenti esteri per circa 700 milioni. Una possibile spiegazione risiederebbe nell’ipotesi che gli investitori che vogliono esporsi sui paesi emergenti scelgano l’India per le sue caratteristiche strutturalmente più attraenti rispetto ad altri Paesi. I flussi esteri catturano l’attenzione perché possono essere un elemento che sposta gli equilibri, ma non dimentichiamoci che gli Indiani sono un popolo di risparmiatori (tasso di risparmio fra il 7.5% e l’8.5% del reddito) e la crescita economica forte sostiene l’accumulazione domestica, che, all’80% circa di ciò che non è investito in immobili, va in strumenti di deposito bancari e obbligazioni.
Inoltre, l’India sta gradualmente allargando l’accesso al proprio mercato obbligazionario. Ora il limite agli investimenti stranieri è passato dal 5% al 6% e tutte le cedole incassate possono essere reinvestite in reddito fisso indiano senza entrare nel calcolo del limite del 6%. Anche questi sono passi avanti tecnici, che avevamo annunciato da tempo, e possono dare un sostegno al mercato.
Invesco India Bond Fund: posizionamento. Dal punto di vista della costruzione del portafoglio, il fondo India Bond Fund è potenzialmente ben posizionato per sfruttare la situazione in modo opportunistico. A fronte di un rialzo notevole dei rendimenti governativi, l’asset allocation si è spostata verso tale segmento del mercato, per un totale del 78% del portafoglio, di cui 43% circa sono titoli di Stato e 35% circa debito di agenzie governative o altri enti legati al governo. Il 22% è investito in obbligazioni societarie. Per tutte le categorie, la qualità del credito è come sempre molto elevata, AAA o parte alta dell’investment grade locale.
Il rendimento a scadenza del portafoglio è 8.44% e le modifiche recenti hanno consentito di ridurre la duration da 5.17 a 5 anni.
È evidente che l’asset class del debito emergente, che ha natura rischiosa, abbia sofferto negli ultimi mesi. L’India, nonostante una performance relativa migliore, ha avuto anch’essa un andamento sfavorevole. Per coloro che hanno una tolleranza al rischio sufficientemente alta e un orizzonte temporale sufficientemente esteso, crediamo che le opportunità di rendimento e la capacità di diversificazione di portafoglio dell’obbligazionario indiano rimangano interessanti, con un profilo di rischio che, in fase di stress, si è dimostrato più contenuto del debito emergente in valuta locale in generale.

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