A dieci anni da Lehman Brothers ecco cosa è cambiato

A cura di Toby Nangle, Global Head per l’Asset Allocation di Columbia Threadneedle Investments
Sono passati dieci anni dal fallimento di Lehman Brothers, un momento che nella coscienza collettiva ha segnato il culmine della crisi finanziaria globale. Continuiamo a risentire delle enormi ripercussioni economiche di questo disastro finanziario e dei relativi effetti sul panorama politico. Tuttavia, da allora, gli investitori hanno messo a segno ottimi rendimenti, attribuibili in misura non trascurabile agli interventi delle banche centrali.
 
Che importanza ha rivestito il quantitative easing per i prezzi degli attivi e cosa succederà ora?
 
Le banche centrali hanno risposto allo scompiglio sui mercati riducendo i tassi di interesse a livelli mai visti prima e acquistando grandi quantità di attivi dei mercati finanziari: un processo divenuto noto come quantitative easing (Figura 1). Dall’implementazione di tali interventi straordinari sui mercati, quasi tutte le classi di attivi hanno registrato sostanziosi rendimenti. Le quotazioni delle azioni globali si attestano attualmente ad un valore triplo rispetto ai rispettivi minimi e sono il 60% circa più elevate dei livelli a cui si trovavano nel settembre 2008, quando i bilanci delle banche centrali hanno cominciato a lievitare (Figura 2). Nello stesso periodo, i rendimenti cumulativi delle obbligazioni globali si sono attestati al 50% circa, mentre gli investitori nel debito high yield hanno più che raddoppiato il capitale investito.

Figure 1 e 2: Dimensioni dei bilanci delle banche centrali del G4 dal 2008 al 2018, in miliardi di USD; totale degli attivi delle banche centrali del G4 in USD e indice MSCI ACWI in USD, dati normalizzati, 31 agosto 2008 = 100
 
Nel valutare i probabili effetti della rimozione del quantitative easing sui prezzi degli attivi è opportuno esaminare l’impatto che il QE ha esercitato su questi ultimi. L’aumento delle quotazioni rappresentava una delle caratteristiche intrinseche del quantitative easing, non una conseguenza imprevista. La Bank of England ha stabilito in anticipo i tre canali principali tramite i quali prevedeva che il QE avrebbe influenzato i prezzi degli attivi, al di là dell’effetto sui prezzi dovuto all’immediato aumento della domanda, riguardante gli attivi acquistati direttamente dalla BoE. Tali canali sono diventati noti come effetto di ribilanciamento dei portafogli, canale di trasmissione del credito bancario ed effetto sul clima di fiducia.
L’effetto di ribilanciamento dei portafogli è legato al fatto che quando una banca centrale acquista obbligazioni da fondi pensione e compagnie assicurative, questi ultimi devono investire i proventi della vendita piuttosto che detenerli in mezzi liquidi poco redditizi; pertanto, la domanda di altri attivi aumenta, facendone salire le quotazioni. Il canale di trasmissione del credito bancario si fonda sull’idea che la nuova moneta creata dalla banca centrale per acquistare attivi faccia aumentare le disponibilità liquide delle banche, inducendole a erogare maggiori prestiti.
L’effetto sul clima di fiducia si basa sulla previsione di un lieve aumento dell’ottimismo nei confronti del futuro (sia in relazione all’atteso futuro supporto della banca centrale che, più in generale, una maggiore fiducia nelle prospettive economiche). Sebbene tutti e tre sembrino canali solidi e affidabili, gli studi condotti nell’ultimo decennio per misurarne l’efficacia hanno rilevato che solo l’ultimo di questi tre effetti ha esercitato un impatto davvero significativo sui prezzi degli attivi. Ovvero, come Ben Bernanke, ex presidente della Federal Reserve statunitense, ha affermato più concisamente, “il problema del quantitative easing è che funziona nella prassi ma non in teoria”.
Intanto, alcuni analisti di mercato con orientamento decisamente più pragmatico che teorico si sono dati un gran da fare per proclamare che i rendimenti dei mercati finanziari sono quasi interamente dovuti al quantitative easing. Dal momento che la Federal Reserve ha avviato il processo di conclusione del QE, ossia il quantitative tightening, tali dichiarazioni preoccupano probabilmente non poco gli investitori che temono per i guadagni futuri.
I rendimenti costituiscono parametri piuttosto imprecisi, dietro cui si possono celare molte informazioni. Nel caso delle obbligazioni, i guadagni sono dati dalla somma di rendimento (yield) e variazione di prezzo. Le variazioni di prezzo dipendono a loro volta dalle variazioni dei rendimenti: al calo del rendimento corrisponde un aumento della quotazione. Uno degli obiettivi del QE era quello di spingere i rendimenti obbligazionari a livelli inferiori a quelli che avrebbero altrimenti raggiunto, e quasi tutti concordano nel ritenere che tale obiettivo sia stato conseguito, facendo aumentare i guadagni degli investitori.
Si può ragionevolmente prevedere che con il quantitative tightening (QT) i rendimenti precedentemente tenuti sotto pressione riprenderanno lentamente a salire, anche se l’effetto di contenimento esercitato dal QE è stato relativamente modesto. È in ogni caso probabile che gli strumenti obbligazionari saranno penalizzati dal QT e dall’aumento dei tassi, a meno che l’economia globale non scivoli presto in un’altra recessione.

Figure 3 e 4: Ripartizione dei rendimenti dell’MSCI All Country World Index in termini di variazioni degli utili previsti a 12 mesi e variazioni dei P/E prospettici a 12 mesi; yield-to-worst delle obbligazioni high yield globali e earnings yield prospettico a 12 mesi dell’MSCI ACWI
 
I rendimenti azionari sono leggermente più criptici, ma possiamo adottare un approccio piuttosto rudimentale per stimare la quota di rendimenti azionari associata a un aumento degli utili societari e la quota di rendimenti associata semplicemente al pagamento di prezzi più alti per ottenere un dato livello di utili previsti. Sembra che, fino a tempi relativamente recenti, la maggior parte dei guadagni generati dall’inizio del QE sia rientrata in quest’ultima quota, essendo imputabile al pagamento da parte degli investitori di un importo maggiore per una determinata unità di utile (aumento dei rapporti P/E) piuttosto che all’incremento della redditività (utili per azione) (Figura 3).
Questo non si applica a tutti i mercati: gli utili prospettici giapponesi sono raddoppiati negli ultimi cinque anni mentre ciascuna unità di utile è divenuta meno cara. Gli utili statunitensi attesi sono invece saliti di quasi l’80% nell’ultimo decennio e ogni unità di questi utili è divenuta più cara del 20% circa. Ma a livello globale, dopo il crollo e la ripresa degli utili terminata nel 2011, la redditività globale ha evidenziato una fase di stagnazione durata cinque anni, sebbene nello stesso periodo le azioni abbiano comunque generato ottimi rendimenti. In tale periodo gli operatori hanno pagato di più per ogni dollaro di utile previsto; in altre parole, i rendimenti azionari, come i rendimenti obbligazionari, sono diminuiti in tale arco di tempo, spingendo al rialzo le quotazioni e alimentando i guadagni degli investitori.
Se seguiamo l’evolversi degli eventi fino alla metà del 2018 osserviamo che circa la metà dei rendimenti delle azioni globali dall’inizio del QE è ascrivibile al pagamento di importi superiori per una data unità di utili, mentre l’altra metà è dovuta alla maggiore redditività societaria. Parallelamente all’aumento degli importi pagati per ogni dollaro di profitto si è verificato un aumento degli importi corrisposti per ogni dollaro di cedola obbligazionaria. Questa relazione è illustrata nella figura 4, che consente di confrontare gli earnings yield prospettici a 12 mesi con i rendimenti di un gruppo di obbligazioni high yield americane ed europee. Con il calo dei rendimenti nei mercati obbligazionari, le azioni sono divenute più appetibili malgrado il ristagno quinquennale dei profitti. I rendimenti dei mercati azionari sono stati trainati da questo contesto più generale dei mercati finanziari.
Il bilancio della Federal Reserve ha raggiunto il picco a metà settembre 2017, quasi nove anni dopo l’inizio del QE. La Fed ha avviato il proprio processo di quantitative tightening, anche se la BCE continuerà probabilmente a espandere il proprio bilancio fino alla fine dell’anno. La Federal Reserve ha programmato il QT in modo che sia lento, noioso e prevedibile “come guardare la vernice asciugarsi”. Ciononostante, poco dopo l’avvio del QT sui mercati si è osservato, nelle parole di un analista, “un ininterrotto cabaret di rischi di evento”, con il rapido succedersi di diversi shock.
Questo non ha impedito ai mercati azionari che esibivano una buona crescita degli utili di offrire rendimenti accettabili agli investitori; al momento inoltre non dispongo del tempo necessario per effettuare analisi volte ad attribuire effetti eccessivamente ribassisti ai futuri interventi di QT. Tuttavia, i modesti vantaggi che negli ultimi anni si potevano associare al QT si trasformeranno probabilmente in modesti svantaggi nel momento in cui il QT si avvierà alla conclusione. La maggiore minaccia alla fiducia proviene però dal modo in cui l’economia statunitense è gestita, dallo smantellamento del sistema commerciale internazionale e da una serie di sfide che i governi asiatici ed europei dovranno superare.
Il quantitative easing ha rappresentato uno strumento di politica monetaria estremamente importante, utilizzato prima per alleviare i problemi di liquidità dei mercati finanziari, poi per alimentare la fiducia e ancorare le aspettative circa il futuro corso della politica monetaria. Alimentando la fiducia nel futuro, ha dato slancio all’attività economica, alla redditività delle aziende e ai prezzi degli attivi rispetto alle relative ipotesi controfattuali. In un contesto di crescita economica discreta, di aumento dei salari e di pressioni inflazionistiche, il QE ha esaurito la sua funzione e può essere accantonato. Tuttavia, con tassi d’interesse così vicini alla fascia minima, è probabile che questo strumento di politica monetaria non sia definitivamente sparito dalla scena.

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