Banche turche: stavolta è diverso?

A cura di Elsa Dargent, M&G Investments

Le banche turche si sono trovate al centro dell’attenzione nelle ultime settimane, quando la crisi di fiducia provocata dagli eventi politici ha messo gli investitori in fuga dalla lira (in calo del 38% da inizio anno contro il dollaro e del 26% da fine giugno, ultima data di rendicontazione delle banche) e provocato un deciso ampliamento dei rendimenti sui titoli governativi del Paese e uno ancora più marcato dei tassi sul debito non garantito delle banche.
Dal punto di vista dei fondamentali, ci sono validi motivi per guardare con preoccupazione al settore bancario turco, viste prospettive macro in deterioramento aggravate dalla debolezza strutturale.
Squilibrio fra attività e passività. Le banche fanno affidamento sugli investitori esteri per una provvista fondi “stabile”, a causa del mercato del debito sottosviluppato a livello locale e della popolarità di cui godono in Turchia i depositi a breve termine. La scadenza media ponderata del debito estero è di circa 5 anni e deve essere rinnovata per finanziare prestiti a lungo termine ai debitori locali (il rapporto prestiti/depositi del sistema era vicino al 120% a fine giugno); finora le banche sono riuscite a rinnovare i finanziamenti (quota di rollover compresa fra il 90 e il 110% negli ultimi 5 anni), ma la capacità di farlo a costi ragionevoli dipende dalla fiducia del mercato.
Esposizione in valuta estera. Le posizioni nette in valuta estera delle banche turche sono coperte fuori bilancio, nel senso che le posizioni aperte su cambi in generale sono prossime allo zero, ma per il rinnovo delle coperture si fa affidamento sulle banche estere. Questo non riduce i rischi indiretti per la qualità degli asset e il capitale che rappresenta l’esposizione a prestiti in valuta estera. Questi ultimi, che sono limitati alle società, rappresentavano il 36% del libro prestiti delle banche alla fine di giugno 2018. Non tutti questi debitori dispongono di liquidità e/o generano flussi di cassa in valuta estera, il che implica una minaccia per la qualità degli asset delle banche in una crisi valutaria protratta, quando sostenere i costi del servizio del debito diventa più difficile. Il deprezzamento della lira incide anche sui coefficienti di vigilanza: il patrimonio di base delle banche è prevalentemente in lire turche, anche se alcune hanno emesso debito subordinato in valuta estera che offre una parziale copertura; le grandi banche hanno rivelato che un deprezzamento del 10% della lira incide sull’adeguatezza patrimoniale e il Tier 1 (capacità totale) in media per 40-60 pb.
– Allentamento degli standard normativi. Oltre ad avere indebolito i fondamentali (buffer di capitale e qualità degli asset), questa situazione riduce la visibilità e mina la fiducia nei dati rendicontati. L’allentamento degli standard normativi è passato principalmente attraverso l’adozione di regole e requisiti meno stringenti per la ponderazione del rischio (ad esempio, è diventato lecito per le banche scegliere un’agenzia di rating più benevola per le ponderazioni dell’esposizione sovrana) e in materia di ristrutturazione e accantonamenti. Alcune delle misure più recenti, come la sospensione temporanea della valutazione mark-to-market dei portafogli di titoli disponibili per la vendita in ambito azionario e l’abbassamento del limite sulle operazioni di swap con banche estere, erano volte ad attutire l’impatto della correzione di mercato scattata sulle banche e frenare la svalutazione valutaria, eppure siamo convinti che il modo migliore per riconquistare la fiducia degli investitori sia mostrare un impianto robusto di norme e vigilanza sulle banche.
Segnali concreti di un aumento dei prestiti ristrutturati presso le banche. Sono emersi segnali di surriscaldamento dell’economia, soprattutto l’anno scorso quando la crescita del PIL ha superato il potenziale (+7%), alimentata in parte dal piano di prestiti garantiti dal governo (circa 220 miliardi di lire turche nel 2017, pari al 7% del PIL). I prestiti bancari avanzano a un ritmo ampiamente superiore al 15% già da qualche tempo e la leva finanziaria delle imprese è deteriorata dal 63% all’85% del PIL fra il 2012 e il 2017 (fonte: BRI). Questa ascesa della leva è derivata in larga misura dal credito bancario che rappresenta quasi 3/4 del totale. Le banche hanno dichiarato un forte incremento dei crediti incagliati/ristrutturati (si veda il grafico), in parte a causa del passaggio ai nuovi criteri di rendicontazione (IFRS9), che impongono alle banche di rilevare le perdite in tempi brevi e sono state interpretate in modo variamente rigoroso. C’è stata qualche ristrutturazione di grandi aziende di alto profilo e sono emersi casi isolati di incongruenza nella rendicontazione della stessa esposizione.
Fonti: M&G, rendiconti di esercizio delle banche.
In questo ambiente, le banche a controllo pubblico o estero possono beneficiare di un supporto esterno se la crisi peggiora?
La volontà e la capacità di una banca controllante (e dei relativi azionisti) di offrire sostegno in termini di capitale e finanziamento è piuttosto imprevedibile, anche se le banche estere finora hanno aiutato le filiali turche. Per fare un esempio, nel 2017 BBVA ha acquisito una quota aggiuntiva del 9,95% in Garanti salendo a poco meno del 50%. A giugno, Unicredit ha iniettato 500 milioni di dollari USA in Yapi Kredi, controllata tramite una joint venture con un gruppo industriale turco. Il basso livello di debito pubblico (28% del PIL) indica che in teoria le risorse per sostenere le banche a controllo statale ci sono, ma queste sono state penalizzate dalla spinta del governo per stimolare i prestiti e il costo del rischio potrebbe essere stato sottovalutato. Infine ci sono anche criticità specifiche, con l’istituto a controllo statale Halkbank su cui grava la minaccia di sanzioni da parte degli Stati Uniti per le attività svolte in Iran.
È un ritorno della crisi dei primi anni Duemila?
Per quanto si possa essere tentati di fare paralleli fra oggi e l’ultima grave crisi bancaria e valutaria di due decenni fa, dal nostro punto di vista nonostante le difficoltà attuali, il sistema bancario appare diverso, il che non vuol dire che le tendenze del momento non siano preoccupanti. Oggi la vigilanza in generale è più rigorosa ed efficace e le banche mantengono pochissime posizioni aperte su cambi, anche se come già accennato, l’impatto indiretto delle esposizioni in valute estere è un aspetto da tenere ben presente. All’inizio degli anni Duemila, le banche erano scarsamente regolamentate e gli scandali di frode e corruzione con conseguenti fallimenti hanno minato la fiducia nel settore. Anche i bilanci delle banche erano piuttosto diversi, con una prevalenza di posizioni in titoli di debito governativo, finanziate da prestiti a breve termine. La liquidità scarseggiava e gli istituti più deboli si sono trovati costretti a svendere obbligazioni in cambio di contanti. Inoltre, non coprendo il rischio valutario, le banche hanno subito perdite legate ai cambi.
Fonti: BDDK, TCMB, relazioni delle banche, verbali di riunioni del management, BRI, Bloomberg, Commissione Europea.

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