A cura di Pictet Am
La disputa commerciale sempre più accesa tra USA e Cina pone un rischio per le esportazioni dei Paesi in via di sviluppo, mentre l’ascesa del dollaro minaccia di scatenare l’inflazione e causare problemi alle aziende dei Paesi emergenti che detengono debito denominato in dollari. La crisi della valuta turca e le aperture diplomatiche del Paese verso la Russia e l’Iran hanno ulteriormente complicato la questione.
Il che non è passato inosservato agli investitori: la loro ritirata dalla classe di attivi ha spinto il mercato azionario dei Paesi emergenti a una flessione di circa il 17% in dollari, dal picco raggiunto a metà gennaio di quest’anno.
Ma vi è motivo di credere che le vendite massicce siano giunte al termine. Per cominciare, la Cina ha aperto di nuovo le valvole dello stimolo monetario nel tentativo di compensare gli effetti dei dazi americani sulle importazioni. Questo stimolo potrebbe, a sua volta, essere integrato con un aumento della spesa pubblica, che apporterebbe ulteriore slancio alla crescita economica (si veda il grafico) – una prospettiva che i prezzi delle azioni dei mercati emergenti devono ancora prendere in considerazione.
Un altro fattore positivo è dato dal fatto che l’ascesa del dollaro difficilmente è destinata a durare per molto tempo ancora. I nostri indicatori tecnici, che comprendono le posizioni valutarie degli investitori speculativi, indicano che il biglietto verde è attualmente ‘ipercomprato’ e suscettibile di una correzione.
Anche le valutazioni sono un elemento favorevole. Dopo le recenti vendite massicce, le azioni dei mercati emergenti sono attualmente scambiate a uno sconto del 25% rispetto alle controparti statunitensi sulla base del price-earnings, più di 10 punti percentuali più economiche rispetto alla media storica. Ci pare eccessivo, soprattutto in quanto le previsioni degli analisti per la crescita degli utili delle aziende dei mercati emergenti per quest’anno e per il prossimo sono rimaste più o meno invariate, rispettivamente al 18% e all’11%.
Per queste ragioni, rimaniamo sovraponderati sulle azioni dei mercati emergenti.
Siamo molto meno entusiasti sulle azioni europee e statunitensi. Le azioni USA in particolare non paiono essere ben valutate: sebbene gli utili delle società americane continuino a superare le previsioni, la crescita dei profitti rallenta trimestre dopo trimestre, seppure leggermente.
Inoltre, le previsioni degli analisti per gli utili statunitensi del 2019 scontano un aumento dei profitti dell’ordine del 10%. Ciò richiederebbe una crescita dell’economia a un tasso nominale annualizzato del 6%, un risultato poco probabile, data la lunghezza dell’attuale espansione.
Le nostre preferenze a livello di settore rimangono invariate rispetto al mese precedente. Anche se nelle scorse settimane i titoli dei settori difensivi hanno tenuto meglio delle controparti cicliche secondo una tendenza che potrebbe continuare, abbiamo deciso di non ridurre ulteriormente la nostra esposizione ai titoli sensibili al ciclo economico. Detto ciò, rimaniamo sottopesati sui titoli dei beni di consumo voluttuari, che rimangono costosi rispetto alle loro valutazioni medie e rispetto ad altri settori.