A cura di Gregorio De Felice, Capo economista Intesa Sanpaolo
I punti di forza del sistema moda italiano Il sistema moda, che comprende tessile, abbigliamento e calzature, è un settore chiave per l’economia italiana: con 24,2 miliardi di euro di valore aggiunto generato nel 2017, rappresenta il 10% del manifatturiero e occupa circa 500 mila addetti, ovvero il 15,5% degli addetti occupati complessivamente nella manifattura italiana. Non si tratta solo di un’eccellenza nazionale. La moda Made in Italy mantiene saldo il suo primato in Europa, sia in termini di produzione che di valore aggiunto.
Più di un terzo del valore aggiunto generato dal sistema moda dell’Unione Europea è associabile all’Italia (33,9%), una quota pari a tre volte quella tedesca, quattro volte quella spagnola e quasi cinque volte quella francese. Il primato italiano è evidente anche in termini di saldo commerciale, in attivo per quasi 20 miliardi di euro a fine 2017. È un dato rilevante, soprattutto se confrontato con il disavanzo francese (-13,9 miliardi), tedesco (-19 miliardi) o del Regno Unito (-21 miliardi). Si tratta, inoltre, di un importante indicatore di competitività, che sintetizza diversi punti di forza della filiera produttiva italiana.
L’ampia base produttiva, forte dell’organizzazione reticolare tipica dei distretti industriali, preserva nel tempo competenze e know-how, supportando una forte diversificazione di prodotto e l’elevata qualità della produzione Made in Italy. Il 70% circa delle esportazioni italiane della moda (pari a circa 51 miliardi di euro nel 2017) si posiziona sull’alta gamma. Nonostante la forte pressione concorrenziale, derivante dall’avanzata dei player asiatici, l’Italia mantiene infatti, ancora, elevate quote di mercato che, nell’alto di gamma, raggiungono il 16% nelle calzature e il 21% nel comparto pelli e pelletteria. Anche l’analisi delle Global Value Chain (GVC) effettuata a partire dalle tavole inputoutput WIOD (World Input-Output Database)1 conferma la struttura peculiare della filiera produttiva italiana, rispetto a quella dei principali concorrenti europei. Dalla scomposizione per area geografica della catena del valore, emerge che in Italia il contributo nazionale alla produzione è molto elevato e pari al 78,7%.
La filiera della moda francese, dominata dai grandi player del lusso che hanno spinto maggiormente sulla leva della delocalizzazione, presenta invece un contributo domestico alla produzione pari solamente al 60,5%. L’elevato peso del contributo al valore aggiunto proveniente da produzioni realizzate in Italia sintetizza il forte legame con l’indotto territoriale. Una quota consistente di imprese capofila del sistema moda intervistate da Intesa Sanpaolo valuta ancora fondamentale il rapporto con subfornitori e/o terzisti locali, grazie alla qualità dei servizi e dei prodotti offerti, alla possibilità di personalizzare i prodotti, all’affidabilità e alla specializzazione della forza lavoro.
Questi tratti distintivi del modello di produzione Made in Italy sono anche alla base della partecipazione attiva delle imprese italiane alle catene di produzione dei partner europei: il 6,2% dell’output di moda francese, ad esempio, è originato in Italia. L’Italia conserva, inoltre, il quarto posto nella Global Value Chain mondiale.
Le sfide del futuro: ambiente e innovazione Nel futuro del sistema moda italiano, sostenibilità, qualità e innovazione faranno sempre più la differenza con i nostri concorrenti. Negli ultimi anni, l’avvento del fast fashion e l’aumento dei prodotti a basso costo hanno spinto verso una diminuzione della vita utile dei capi d’abbigliamento, con un significativo incremento dei rifiuti tessili: le famiglie europee hanno generato 810 mila tonnellate di rifiuti tessili nel 2014. Ai rifiuti generati dalle famiglie si aggiungono quelli prodotti, a monte, dalle imprese del settore moda.
L’ampia base produttiva presente in Italia in alcuni comparti (tessile, concia) implica una maggiore intensità di utilizzo di sostanze chimiche, a cui si aggiungono gli altri rifiuti, per un totale di 2,2 tonnellate annue per addetto. In un’ottica di circular economy, il potenziale di recupero degli scarti tessili è rilevante e pari a oltre 500 kg annui per addetto. Grande attenzione, poi, richiederanno gli investimenti nella trasformazione digitale, in particolare per quanto riguarda la componente a valle di relazione con il cliente.
L’e-commerce è sempre più rilevante per raggiungere il mercato, in particolare quello estero: in Europa, la percentuale di persone che acquista on-line abbigliamento e articoli sportivi si è quasi triplicata nel giro di 10 anni (dal 13% del 2008 al 37% del 2017). Le aziende italiane, tuttavia, appaiono in ritardo nell’utilizzo di questo canale commerciale. Nonostante l’aumento delle vendite da siti italiani (che hanno raggiunto i 3 miliardi di euro nel 2016), lo strumento dell’e-commerce risulta ancora poco diffuso, soprattutto tra le imprese più piccole. Da una indagine ad hoc realizzata da Intesa Sanpaolo (su 161 aziende capofila che operano in 36 distretti del sistema moda e generano 14,5 miliardi di euro di fatturato) emerge che il 70% delle imprese intervistate effettua vendite on-line.
Questa percentuale si riduce al 18% per le piccole imprese. Inoltre, poche imprese utilizzano strategie complesse: solo il 12% del totale le aziende effettua vendite on-line sia sul proprio sito sia tramite market-place e dispone di una app dedicata.Le prospettive del settore I fondamentali di crescita del sistema moda italiano restano solidi, pur in uno scenario non esente da rischi legati alla possibile flessione del commercio internazionale. Il fatturato del sistema moda è atteso crescere ad un tasso medio annuo dell’1,5% nel periodo 2019-22, a prezzi costanti, trainato soprattutto dai mercati esteri, oltre che da una ripresa del mercato interno.
La propensione all’export del settore, già strutturalmente elevata (61,4% nel 20172), è infatti destinata ad aumentare ancora (fino a sfiorare il 66% nel 2022), spingendo verso un ulteriore miglioramento del saldo commerciale, che potrà avvicinarsi ai 25 miliardi di euro nell’orizzonte del 20223. Il sostegno della domanda estera trova conferma negli ultimi dati congiunturali sulle esportazioni, di fonte Istat. Le vendite all’estero del sistema moda sono cresciute del 3,5% tendenziale nella prima metà del 2018, a valori correnti, per un totale esportato pari a 26 miliardi di euro.
Performance positive hanno riguardato i principali mercati di sbocco, sia maturi (come Francia, Germania e Svizzera) che emergenti (ad iniziare da Cina e Hong Kong). In un contesto di domanda globale in espansione, prevediamo un incremento di circa 42 miliardi di dollari del commercio globale di alta moda entro il 2021. Intercettare tale domanda aggiuntiva rappresenta, per le imprese della moda italiana, un’importante sfida da cogliere. Le opportunità di crescita si concentrano, soprattutto, nei mercati più distanti dall’Italia, quali Cina-Hong Kong, Giappone, Canada, Stati Uniti ed Emirati Arabi Uniti, dove l’alta gamma Made in Italy ha già conquistato traguardi importanti e continua a ricevere grande attenzione