Deficit/Pil al 2,4%: quali le reazioni dei mercati?

A cura di Alessandro Balsotti, strategist Jci Capital
Il costante susseguirsi di indiscrezioni e notizie sulle scelte di politica fiscale del nostro esecutivo si è intensificato nel corso della giornata di ieri per poi sfociare nell’atteso annuncio, contenuto nell’aggiornamento del DEF, di un obiettivo di deficit per il 2019 a 2.4%. Il 2.4% si colloca senza dubbio nella parte più elevata degli esiti considerati possibili dopo che nelle ultime 6 settimane avevamo oscillato dai timori di toccare (o sorpassare) il 3% (dopo la tragedia del ponte Morandi) a un  inaspettatamente sobrio 1.6%, per poi assestarci recentemente nell’attesa di un possibile compromesso in area 2%.
Considerato che nelle ultime 24 ore questo livello era già stato fatto più volte filtrare a mezzo di anticipazioni giornalistiche e dichiarazioni di esponenti della maggioranza va notata la reazione relativamente composta che il mercato ha avuto nella giornata di ieri. Una apertura in gap down per il BTP (ad amplificare le perdite già arrivate in chiusura mercoledì) seguita però da un graduale ma costante recupero nel corso della sessione. Lo spread (10Y vs Bund) è arrivato ad allargare di ben 17bp in mattinata per poi eliminare quasi tutta la sotto-performance alla chiusura (solo 2bp wider).
Cause possibili: a) la smentita delle ricorrenti voci che Tria fosse sul punto di dimettersi (o di venire forzato alle dimissioni); b) ottime aste sul 10 e 5 anni, per quanto su importi modesti (5.2 bio) e presumibilmente pilotate, con un bidto-cover (10Y) all’1.44 che non si vedeva da maggio; c) la mancanza dell’ufficialità di un deficit elevato (2.4%) arrivata solo a mercato chiuso.
Vedremo oggi se la somatizzazione di un numero che sembra molto probabile possa portarci in un’area di conflitto con l’Europa porterà ulteriori perdite. Oppure se l’asta di ieri possa rappresentare un sintomo reale di domanda in grado di manifestarsi agli attuali livelli di rendimento e di premio al rischio pur con la scelta governativa di un percorso di complicata convivenza con le regole europee.
Un deficit di questa portata essenzialmente annulla la possibilità di migliorare nei prossimi anni il rapporto debito/GDP, stabilizzandolo a malapena intorno all’attuale quota 130%. Presumibile anche che possa arrivare il downgrade di Moody’s (che si era messa in attesa delle mosse fiscali del nuovo governo) anche se penserei che, se fosse accompagnato da un molto probabile outlook stabile, una simile decisione sia già scontata, almeno in buona parte, nell’allargamento dello spread degli ultimi mesi.

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