Nuvole all’orizzonte guardando a oriente?

Di Franck Nicolas, Head of multi- asset di Natixis Investment Managers

Dall’inizio dell’anno la maggior parte delle valute dei mercati emergenti ha subito un forte calo. Ad esempio, i tassi di cambio di Russia, Brasile, Indonesia, Argentina, Turchia, Sudafrica e persino India hanno perso molto terreno rispetto alle valute dei paesi sviluppati. La politica economica statunitense, con suoi tagli fiscali e gli stimoli di bilancio in un’economia già in piena espansione, e le minacce al flusso regolare del commercio globale hanno alimentato le prospettive inflazionistiche negli Stati Uniti e le prospettive recessive nei mercati emergenti.

In primo luogo, lo stimolo interno permanente promesso da Donald Trump fa temere un surriscaldamento che costringerebbe la Fed a irrigidire i toni. I successivi aumenti dei tassi sarebbero una cattiva notizia per i mercati emergenti indebitati in dollari. In secondo luogo, lo spirito protezionista che l’amministrazione statunitense sta diffondendo in tutto il pianeta è rivolto principalmente ai produttori a basso costo nelle economie emergenti.

Di conseguenza, un accenno di panico ha attraversato i mercati finanziari. La fragilità dei mercati emergenti, di cui tutti erano a conoscenza, non si è mai manifestata in modo importante (tranne nel 2013, quando si è iniziato a parlare di tapering) finchè lo scenario generale ha visto una normalizzazione dei tassi americani molto graduale. Ma di fronte all’insistente intervento del Presidente sia sul fronte interno che su quello commerciale, i mercati hanno dovuto rivedere le loro posizioni.

Sul piano interno, potrebbero essere presto messi sul tavolo ulteriori tagli fiscali. Non vi è alcuna garanzia sul fatto che questi diventeranno legge, ma l’effetto è ancora quello di aumentare ulteriormente le prospettive di un’economia già positiva. Soprattutto perché l’introduzione graduale dei programmi infrastrutturali è ancora in cantiere. La crescita del secondo trimestre si è rivelata particolarmente vigorosa negli Stati Uniti e la Fed ha innalzato le sue previsioni a oltre il 4% per la fine dell’anno. La creazione di posti di lavoro, la disoccupazione e la fiducia continuano a muoversi in modo significativo. A parte gli indicatori dell’edilizia abitativa, pochi sono i dati disponibili che mostrano qualcosa di diverso da un’economia in salute.

L’inflazione salariale sta aumentando. Il rapporto sull’occupazione ha mostrato che i salari medi sono aumentati pericolosamente nel corso dell’anno fino a raggiungere il 2,9% ad agosto. Donald Trump sta facendo del suo meglio per organizzare un ultimo sprint prima delle elezioni di medio termine, che non può dare per scontate: uno spostamento di 23 poltrone e la Casa cambierebbe di mano. All’estero, l’accordo con il Messico è stato il primo concreto seguito delle promesse della campagna elettorale del Presidente.

Il Messico, che esporta per l’80% negli Stati Uniti (il 2% nell’altra direzione), è riuscito a mantenere la maggior parte della sua posizione negoziale e il peso è salito. Un altro grande passo avanti sembra essere stato fatto anche con la Cina, dove 200 miliardi di dollari di esportazioni cinesi saranno soggetti a dazi doganali del 10 per cento a partire dal 24 settembre e del 25 per cento a cavallo dell’anno. La Cina ha reagito applicando dazi ad altri 60 miliardi di dollari di esportazioni provenienti dagli Stati Uniti, per un totale complessivo di 110 miliardi di dollari di esportazioni statunitensi riferibili a 130 prodotti.  Ma la Cina è ancora esposta, visto che nella direzione opposta, gli Stati Uniti tassano le importazioni dalla Cina per 230 miliardi di dollari, e lo spazio per una ulteriore reazione è limitato.

Questo è il contesto che più ha danneggiato i mercati emergenti. I timori dei mercati finanziari, che hanno attaccato la maggior parte delle valute, hanno rafforzato lo scenario inflazionistico in queste regioni. Con il calo delle valute che ha spinto al rialzo dei prezzi all’importazione e la crescita che si è stabilizzata di fronte al protezionismo statunitense, abbiamo abbastanza per mettere in crisi le economie emergenti del mondo. L’unica contromisura disponibile è l’aumento dei tassi (l’Argentina ha ora i tassi d’interesse più alti del mondo, la Turchia ha appena aumentato i propri dal 17,75% al 24%), le conseguenze recessive che questo comporterà servono a rafforzare la lettura di base della situazione da parte dei mercati. Il Sudafrica è ufficialmente entrato in recessione.

Solo la Cina ha un reale margine di manovra. Come altrove, il calo dello yuan in risposta alle minacce di Trump ha raggiunto il suo limite. I conseguenti deflussi di capitali hanno persuaso la People’s Bank of China ad aumentare i tassi per fermare lo slittamento. Ma uno stimolo simultaneo attraverso il credito dovrebbe mantenere la crescita a un livello sufficientemente sano del 6,5% per tutto l’anno. L’impatto sui suoi vicini asiatici dovrebbe sostenere almeno una parte di loro.

Per gli altri paesi, anche se i loro problemi non sono probabilmente ancora finiti, il peggio è probabilmente alle loro spalle ora che la maggior parte delle tariffe doganali tra gli Stati Uniti e la Cina sono in vigore. I mercati azionari dei mercati emergenti, che quest’anno sono stati duramente colpiti (anche in valuta locale, escludendo quindi l’impatto valutario), sembrano stabilizzarsi. Verrà il momento di rivedere un segmento di mercato sempre più eterogeneo. Ma per ora è ancora troppo presto…

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