Le incognite sulla manovra finanziaria

La Nota di aggiornamento al Def trasmessa al Parlamento contiene delle modifiche rispetto al primo progetto. Il Governo ha infatti modificato gli obiettivi di deficit precedentemente annunciati e con essi le stime di crescita. Il target del 2,4% del rapporto deficit/PIL è stato mantenuto solo per il prossimo anno (2019). Gli obiettivi per il 2020 e 2021 sono stati fissati rispettivamente al 2,1% e al’1,8%. Conseguentemente il debito/PIL viene rivisto al 130% per il 2019, e in progressiva diminuzione fino al 126,7% nel 2021.
“Le previsioni di crescita del PIL sono state stabile all’1,5% per il 2019, 1,6% nel 2020 e 1,4% nel 2021. Il saldo strutturale, l’eccedenza di spesa corretta dagli effetti del ciclo economico e da misure una tantum, risulta in netto peggioramento per il 2019 dello 0,9%, raggiungendo il -1,7% che rimane stabile anche negli anni a venire – spiegano da CA Indosuez – Indubbiamente la revisione posta in essere ha cercato di rendere meno severo il giudizio degli investitori e quello della Commissione Europea, chiamata ad esprimere un parere vincolante sulla qualità della politica di bilancio di ogni Stato membro. Il punto oggettivo è sintetizzabile in un netto peggioramento del saldo strutturale nel prossimo triennio e un allontanamento dell’obiettivo del pareggio di bilancio ad un periodo successivo, non ben identificato: per la prima volta dall’entrata in vigore del Patto di Bilancio Europeo meglio noto come Fiscal Compact, il 1° gennaio 2013, non vi sarà alcun aggiustamento strutturale nei prossimi tre anni e il percorso verso il pareggio di bilancio viene prorogato sine die”.
Il rinvio a tempo indeterminato del pareggio di bilancio e la maggior spesa per interessi, evidenziata nello stesso documento per un totale di 15 miliardi di Euro per il triennio 2019-2021 a cui si aggiungono 1,8 miliardi per il 2018, sono gli elementi di preoccupazione alla base della lettera inviata al Governo italiano dalla Commissione lo scorso venerdì, dove viene chiesto alle autorità italiane di operare affinché la bozza di legge di bilancio sia coerente con le regole fiscali comuni, considerando che gli obiettivi finora comunicati sembrano puntare verso  una “significativa deviazione dal percorso fiscale raccomandato”, fonte di preoccupazione.
La sfida chiave è dunque assicurare, pur in presenza di oggettive deviazioni rispetto a quanto concordato in precedenza, una crescita pari all’1,5%, di sei decimali più elevata delle previsioni. Sinceramente risulta molto complesso che il reddito di cittadinanza possa effettivamente rappresentare un motore di ripresa dei consumi. Lo strumento di per sé è di difficile catalogazione. Non è ascrivibile alla categoria del reddito universale di base, in quanto non disponibile a tutti i cittadini, ma ai soli disoccupati con l’obbligo di iscrizione ai centri per l’impiego (da riorganizzare e modificare).
D’altro canto non può essere ricondotto al reddito minimo, come previsto in altri paesi europei dove viene riconosciuto a cittadini con redditi inferiori ad un determinato ammontare, in quanto i possessori della “card” potranno adoperarla unicamente per l’acquisto di beni primari predefiniti tra cui prodotti alimentari e bollette. Come un sussidio così congeniato, il cui costo è stimato in circa 10 miliardi di euro, possa fungere da volano dei consumi e permettere una crescita di tale importanza e rilevanza è sinceramente difficile da immaginare
Molteplici sono poi le incognite relative non solo al controllo della conditio sine qua non della ricerca attiva di occupazione, che impone al titolare di carta l’iscrizione ai centri per l’impiego con la cancellazione dal programma in caso di rifiuto di tre proposte nell’arco di due anni, ma soprattutto comprendere come realmente si possa configurare la riforma dei centri medesimi sottodimensionati in termini di addetti, geograficamente mal distribuiti, legati ad oggi, ad una concezione di lavoro decisamente datata.
Al momento il mercato è decisamente avverso all’impostazione generale della manovra. L’analisi del differenziale dei tassi dall’insediamento del nuovo Governo è emblematica.
Le giustificazioni circa la natura speculativa delle vendite che colpiscono il nostro debito è lontana dalla realtà. Gli investitori analizzano i dati a loro disposizione e assumono decisioni d’investimento volte alla massimizzazione del profitto. Ogni Stato membro è vincolato alla normativa comunitaria e deve agire, nel perseguimento dei propri obiettivi politici, all’interno di regole predeterminate che sono state votate e ratificate dai propri Parlamenti. La struttura sovranazionale nasce dal libero accordo tra Stati che volontariamente hanno deciso di limitare  la propria sovranità nazionale, su alcune materie, a vantaggio di una gestione comunitaria in quanto ritenuta più efficace.

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