Obbligazionario Usa, è tempo di essere meno pessimisti

A cura di Christopher Jeffery, Fixed Income Strategist di Legal & General IM
Il recente sell-off del mercato dei titoli di Stato americani ha stimolato il nostro interesse per una asset class da cui sempre più investitori preferiscono invece prendere le distanze. Tatticamente abbiamo corretto la nostra view da underweight a neutrale.
I titoli di Stato tipicamente sono considerati un asset meno “audace” rispetto ad altri strumenti, come le azioni. Eppure di recente i rendimenti dei Treasury americani – che si muovono in maniera inversa rispetto ai prezzi – hanno raggiunto picchi pluriennali e sono stati al centro dell’attenzione del mercato.
Questa dinamica negli Stati Uniti ha trascinato al ribasso le obbligazioni dei mercati sviluppati altrove e ha avuto un effetto domino su altre asset class. Le azioni dei mercati emergenti hanno registrato un ulteriore calo, ma il debito di queste economie si è dimostrato sorprendentemente resiliente di fronte a questo recente fenomeno.

La maggior parte degli analisti di mercato cita tre fattori alla base del rialzo dei rendimenti:

  • I solidi dati economici negli Stati Uniti, che suggeriscono che la Federal Reserve potrebbe continuare con una politica restrittiva a un ritmo piuttosto rapido;
  • I riferimenti in chiave bullish all’outlook economico da parte di Jerome Powell, Presidente della Fed e dei suoi colleghi;
  • L’imminente aumento nell’offerta di bond governativi americani legato ai tagli alle tasse di Trump  alla riduzione del bilancio della Fed.

Questi fattori sono senza dubbio importanti, ma riteniamo che ce ne siano altri due in gioco: uno concerne gli investitori istituzionali, l’altro, invece, la domanda estera di titoli di Stato americani.
Il primo riguarda il fatto che i fondi pensione statunitensi nei prossimi mesi potrebbero diminuire il quantitativo di obbligazioni acquistate, in quanto sono terminati a metà settembre gli incentivi fiscali che avevano stimolato le imprese a finanziare i loro regimi pensionistici con una copertura finanziaria insufficiente (underfunded pensions).
Il secondo riguarda il fatto che i titoli di Stato americani sono diventati molto meno interessanti per gli investitori giapponesi dal punto di vista della copertura. Gli investitori giapponesi che intendono proteggere i loro investimenti dalle fluttuazioni del valore del dollaro statunitense devono infatti pagare un prezzo per farlo. Questo costo è ora sopra il 2.75%, superiore alla compensazione del differenziale dei rendimenti tra i due mercati delle obbligazioni governative.

Preferiamo non seguire l’attuale trend di mercato e quindi abbiamo aumentato la nostra posizione tattica sulla duration da underweight a neutrale. Sono tre le ragioni della nostra decisione.
In primo luogo, dal punto di vista dei prezzi, riteniamo che siamo di fronte alla migliore opportunità di aumentare il duration risk connesso ai titoli americani in quattro anni. Non solo: abbiamo anche la migliore opportunità in quattro mesi di incrementare la duration sul Regno Unito.
Inoltre, i futures sul mercato monetario prezzano una traiettoria dei tassi di interesse americani per i prossimi dodici mesi nel range dei 25 punti base dell’outlook della Fed, e questo aspetto indica che i policymaker e i mercati sono allineati, insolitamente.
Infine, il consensus dei mercati si è spostato ancora verso una posizione underweight sugli asset sensibili alla duration. Questa dinamica indica che ci potrebbero essere anche movimenti bruschi nell’altra direzione.
Non rileviamo ancora una prova convincente ed evidente che tassi di interesse maggiori siano negativi per le azioni (e continuiamo a considerare gli asset a lunga duration come una copertura efficace verso la nostra esposizione lunga agli asset di rischio). I rendimenti dei titoli di Stato americani sono vicini alle nostre stime sul fair value e per questo motivo è tempo di essere meno, e non più, pessimisti.

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