Mai come ora mercati e fondamentali vanno a braccetto

A cura di Gaetano Evangelista, Ad Age Italia
Sempre più operatori finanziari fanno uso degli indici delle sorprese economiche. Realizzati da diverse banche d’investimento (da Citi a Goldman Sachs, da Nomura a JP Morgan), in vario modo misurano lo scostamento fra i dati economici pubblicati quotidianamente, e le aspettative che li hanno preceduto. Il divario viene standardizzato e ponderato nell’ambito di una finestra temporale di alcuni mesi.
Si ottiene così un oscillatore la cui pendenza certifica la capacità dell’economia in questione di andare meglio o peggio delle attese degli economisti; prescindendo dal dato effettivo, che finisce per diventare irrilevante.
Ma è proprio così? Vogliamo dire, davvero gli indici delle sorprese economiche assumono una simile rilevanza? Vediamo un po’:
 

 
Diremmo proprio di sì. La figura propone l’indice delle sorprese macro delle principali economie mondiali (linea rossa, scala di sinistra), a confronto con lo Stock/Bond ratio; per la precisione, la differenza fra le performance a tre mesi del mercato azionario, e di quello obbligazionario americano (linea azzurra, scala di destra).
Si nota sin troppo bene come dati economici migliori delle attese producono una sovraperformance dell’Equity rispetto al reddito fisso; dati economici peggiori delle attese premino l’obbligazionario rispetto ai listini azionari. La correlazione è sin troppo evidente.
Sicché l’investitore dovrà preferire la forma di investimento a basso rischio quando l’economia non riesce a tenere il passo delle aspettative; come accade da alcune settimane a questa parte. Una regola aurea evidentemente non più soltanto teorica, ma che nella realtà evidentemente trova piena e appagante attuazione.

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