Il commercio è una preoccupazione per la Fed?

A cura di Colin Lundgren, Responsabile reddito fisso globale di Columbia Threadneedle Investments
Il commercio potrebbe essere un’importante preoccupazione per molti investitori, ma lo è anche  per la Federal Reserve? I recenti cambiamenti della politica commerciale statunitense costituiscono una deviazione significativa dalla tendenza alla riduzione dei dazi in atto dagli anni ‘30 del secolo scorso. Come dovrebbero  posizionarsi gli investitori alla luce dei rischi e delle opportunità  associati a questo nuovo panorama politico?
Esaminiamo l’impatto sul reddito fisso attraverso la lente della politica della Fed. Le recenti dichiarazioni della Federal Reserve suggeriscono che la banca  centrale statunitense è molto attenta a comunicare la transizione dalla forward guidance alla dipendenza dai dati con l’approssimarsi della politica monetaria al livello neutrale il prossimo anno.  In aggiunta,  spesso gli esponenti della Fed si esprimono sull’impatto dell’appiattimento della curva dei rendimenti e sui rischi per l’inflazione e la stabilità finanziaria derivanti da un’economia che cresce più rapidamente del tasso potenziale a causa dello stimolo fiscale di fine ciclo.
Come si inserisce dunque  la politica commerciale in questo mix? Ci aspettiamo che il Federal Open Market Committee (FOMC) verifichi i rischi al ribasso posti dal commercio per le condizioni finanziarie, l’occupazione, la crescita e l’inflazione prima di modificare l’attuale ritmo dell’inasprimento monetario. Il Presidente della Fed Jerome Powell ha sottolineato questo punto di vista durante  un’audizione dinnanzi al Congresso nel corso dell’estate: “…è difficile prevedere l’esito finale delle attuali discussioni sulla politica commerciale… riteniamo che il rischio di un indebolimento inaspettato dell’economia sia grosso modo bilanciato dalla possibilità che la crescita economica superi il livello attualmente previsto.”
Riteniamo che sia prematuro  trarre qualsiasi conclusione, ma gli accordi commerciali potrebbero incidere sui tassi di cambio, sull’inflazione e sulle aspettative di crescita globale, influenzando potenzialmente anche  le decisioni politiche della Fed. Con un alto grado di incertezza, ci lasciamo guidare dalla Federal Reserve e ci atteniamo a ciò che sappiamo per formulare le nostre opinioni e la nostra strategia.
Prematuro  trarre conclusioni
Il presidente Trump sembra determinato a rinegoziare i termini degli scambi con un’ampia schiera di partner  commerciali allo scopo di promuovere  condizioni competitive paritetiche. Detto questo, i termini proposti e le tattiche negoziali non devono necessariamente essere presi alla lettera; in effetti, è probabile che vadano soggetti a significativi cambiamenti.
Gli Stati Uniti sono un’economia relativamente chiusa (le importazioni rappresentano circa il 15% del PIL e meno del 20% della spesa per consumi), il che suggerisce che le ripercussioni dirette di qualsiasi accordo  su crescita e inflazione nei prossimi 12 mesi saranno verosimilmente contenute. Le potenziali ricadute sulla fiducia delle imprese e dei consumatori e sulla stabilità finanziaria complessiva, tuttavia, potrebbero essere molto maggiori. Ma come ha detto Powell nel corso della sua audizione di giugno, “in realtà nella mia vita non ci sono precedenti per questo genere  di ampi negoziati commerciali”. Questo commento dovrebbe  smorzare la fiducia di chiunque  in merito alle discussioni sul commercio.
 
La “distensione commerciale” comporta una serie di esiti…
In uno scenario favorevole si giungerebbe probabilmente a un compromesso significativo o all’eliminazione dei dazi in programma,  con la conseguente scomparsa della maggior parte dei timori per gli scambi internazionali. Ciò potrebbe condurre  a un miglioramento delle previsioni sulla crescita globale, a un indebolimento del dollaro e a un potenziale rally dei mercati emergenti e delle materie prime. Gli investitori potrebbero rivedere al rialzo le aspettative sulla Fed, come tuttavia sembrano fare comunque al momento  (a suggerire forse che una “distensione commerciale” è più vicina allo scenario di riferimento del mercato?). Inoltre, un simile sviluppo deporrebbe a favore di una maggiore ripidità della curva dei rendimenti, dato che i premi a termine nei mercati sviluppati tenderebbero a ridursi e la domanda di beni rifugio a diminuire. Per gli investitori obbligazionari la reazione sarebbe probabilmente un’ulteriore tornata di propensione al rischio e di tassi in aumento.
… diversi da quelli di una guerra commerciale
Uno degli obiettivi di politica monetaria della Fed è la stabilità dei prezzi, che a giudizio del FOMC corrisponde a un’inflazione del 2% nel lungo periodo. In un discorso del 24 agosto Powell ha riconosciuto che “sebbene l’inflazione sia recentemente salita verso il 2%, non abbiamo scorto chiari segnali di un’accelerazione sopra al 2% e non sembra sussistere un alto rischio di surriscaldamento”. Una potenziale fonte di rischio – le condizioni tese sui mercati del lavoro negli Stati Uniti – non ha prodotto una crescita significativa dei salari né è stata considerata una minaccia degna di nota. Ma una guerra commerciale potrebbe sfociare in una spinta inflazionistica sfavorevole.
Quali effetti potrebbero avere i dazi sul Consumer Price Index (CPI)? Via via che la quantità di beni di consumo colpiti da dazio aumenta da un valore iniziale di USD 34 miliardi (pari a circa il 2% dei beni di consumo) a USD 200  miliardi di dollari (circa il 33%) fino a includere potenzialmente tutti i prodotti cinesi (circa il 60% dei beni di consumo), l’impatto sul CPI potrebbe variare dal +0,1% al +0,5% del tasso annualizzato.  La Fed seguirà gli sviluppi su questo fronte, anche  se la sua risposta potrebbe avere efficacia limitata, vista la fonte dell’inflazione; e un’inflazione più elevata non è mai un risultato favorevole per gli investitori obbligazionari, soprattutto partendo da un livello dei tassi considerato neutrale. La reazione sarà probabilmente un aumento dell’avversione al rischio e un rialzo dei tassi, a meno che i timori del mercato  non inneschino una fuga generalizzata verso la qualità, che potrebbe tradursi in una maggiore domanda di Treasury nel breve periodo.
Gli investitori obbligazionari dovrebbero prestare attenzione alla Fed. Finora le dichiarazioni della Fed lasciano supporre che la banca centrale continuerà a osservare i cambiamenti della politica commerciale finché questi non diverranno visibili nei dati relativi all’occupazione, alla produzione industriale e  all’inflazione. Guardando al futuro, tale impatto sarà verosimilmente modesto e la Fed continuerà probabilmente a innalzare i tassi fino al 2019. I mercati non scontano pienamente quattro aumenti dei tassi (cfr. Figura 2) il prossimo anno, il che, a nostro avviso, lascia spazio per una variazione positiva della attese se la Fed conferma la sua fiducia nei rischi al rialzo per la crescita e l’inflazione PCE core rimane ferma al 2%.

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