A cura di da François-Xavier Chauchat, Chief Economist di Dorval Asset Management (Gruppo Natixis)
Una valutazione relativa estrema, tassi d’interesse più alti e la forte esposizione delle società americane ai mercati mondiali hanno messo fine all’eccezionalismo di Wall Street. Con la correzione del Nasdaq, si conclude un ciclo di derating delle piazze azionarie. Cominciata con i paesi emergenti in marzo e proseguita con la crisi italiana a partire da maggio, la correzione termina forse con la flessione dei titoli growth in ottobre.
Nel complesso, il P/E mediano delle azioni globali è diminuito di quattro punti in un anno, passando da 18 a circa 14, il minimo dal 2012. La maturità del ciclo, la progressiva normalizzazione delle politiche monetarie e l’aumento dei rischi politici giustificano il de-rating. Tuttavia, diverse società hanno raggiunto livelli chiaramente allettanti, a condizione che la crescita globale tenga e che i rischi politici comincino finalmente ad attenuarsi.
Ma è uno scenario credibile? Nel T3 l’economia mondiale ha rallentato, probabilmente, dal 4% al 3,8% e l’anno prossimo potrebbe dirigersi verso il 3,5%, un livello ancora solido. La Cina si è indebolita, ma ha i mezzi per sostenere la crescita. Negli Stati Uniti, l’accelerazione potrebbe presto raggiungere il punto culminante, ma non sarebbe necessariamente una cattiva notizia per un’economia che rischia il surriscaldamento. Infine, se confermata, la stabilizzazione dei prezzi del petrolio potrebbe favorire un atterraggio dolce dell’economia mondiale nel 2019.
Per il momento, dunque, la fonte di preoccupazione è l’Europa, con un deludente +0,2% nel T3, che si spiega in parte con il temporaneo calo della produzione di auto tedesche. Tuttavia, il segnale inquietante proviene dall’Italia, dove l’economia ristagna. Anche se il rallentamento è meno generalizzato che nel 2011, il margine di manovra del paese è molto limitato. Per il momento la buona notizia è che i tassi italiani a lungo termine si sono stabilizzati, senza il contagio degli altri mercati periferici. Ma occorre che l’UE e l’Italia trovino un accordo per far scendere i tassi e stabilizzare le attese di crescita. In generale, le prossime settimane ci illumineranno circa l’impatto del populismo sull’ordine economico e finanziario mondiale.
I rischi abbondano, ma continuiamo a credere che prevarrà il realismo economico, di fronte ai limiti sempre più tangibili delle politiche populiste. L’Italia sa che in un modo o nell’altro deve rassicurare gli investitori e in Gran Bretagna la scena politica è dominata dai timori di una Brexit senza accordo. Inoltre, l’amministrazione Trump è ormai consapevole che ulteriori pressioni sulla Cina colpiranno Wall Street, tanto più che la perdita della Camera dei Rappresentanti a favore dei Democratici riduce il margine di manovra del presidente. Dato il pessimismo che regna su tutti questi temi, l’asimmetria dei mercati diviene molto più vantaggiosa.
In effetti, gli investitori sono più sensibili alle buone notizie che a quelle cattive. Ciò potrebbe creare una finestra di opportunità per le borse mondiali. Le buone notizie potrebbero manifestarsi sotto forma di una stabilizzazione delle tensioni sino-americane al summit dei G20 di Buenos Aires il 30 novembre, o di una ripresa più marcata dell’economia cinese, o ancora di progressi sul fronte italiano e inglese. Le incognite sono tante, ma il miglioramento dell’asimmetria del mercato ci induce ad aumentare la componente azionaria nei nostri portafogli flessibili