Brexit, tutto dipende da come May saprà ‘vendere’ l’accordo

A cura di Azad Zangana, Senior European Economist and Strategist, Schroders
Con la bozza di accordo sui termini di uscita del Regno Unito dall’Unione Europea, per il Paese si apre la strada verso un periodo di transizione a partire dal 29 marzo 2019 che potrebbe essere esteso oltre dicembre 2020, durante il quale continuerà a godere dei benefici dell’appartenenza all’UE, come l’accesso al mercato unico e la libertà di movimento sul lavoro. Londra dovrà continuare a contribuire al budget e non potrà finalizzare altri accordi commerciali fino a quando non lascerà l’Unione. Il Regno Unito però non verrà più rappresentato a livello di istituzioni europee o Commissione Europea.
Nel complesso, l’accordo rispecchia le nostre aspettative e rappresenta solamente ‘la conclusione della fase iniziale’ del processo. Le relazioni future del post-Brexit e del periodo che seguirà la transizione sono ancora da definire. L’UE ha sempre insistito sul fatto che le negoziazioni su relazioni commerciali e sicurezza non inizieranno fino a quando la Brexit non sarà stata completata. Le negoziazioni commerciali probabilmente richiederanno molti anni. Di conseguenza, l’incertezza per le aziende permarrà, incentivandole a considerare l’opzione di dirottare i propri piani di investimento al di fuori del Regno Unito. Nel breve termine, però, offrirà sollievo il fatto che l’accordo, in linea di principio, riduce le possibilità di un no-deal o di una Brexit cliff-edge.
L’accordo è stato trovato tra le accuse di tradimento del risultato originale del referendum, anche se nessuno ha l’autorità per affermare con certezza ciò per cui gli elettori votarono. Al momento, sembra che la leadership del Primo Ministro, Theresa May, possa essere messa in discussione dal suo stesso partito. Crediamo che ci sia un numero sufficiente di conservatori insoddisfatti da poter far scattare un voto di sfiducia. Detto questo, dubitiamo che abbiano la maggioranza in Parlamento e quindi May probabilmente rimarrà in carica.
Guardando avanti, il Regno Unito e l’Unione Europea dovrebbero finalizzare l’accordo in un summit il 25 novembre. Il testo sarà poi discusso nella Camera Bassa per circa una settimana, prima del voto atteso per il 10 dicembre. Questo appuntamento rappresenta il rischio maggiore per una Brexit ordinata.
Lo stesso numero di sostenitori della Brexit che intende mettere in discussione May potrebbe minacciare di votare contro l’accordo in Parlamento, preferendo un no-deal. Il Partito Unionista Democratico (DUP) dell’Irlanda del Nord ha dichiarato che voterà contro l’accordo e anche il Partito Nazionale Scozzere (SNP) e i Liberaldemocratici hanno affermato che non sosterranno l’intesa nella speranza di evitare una Brexit.
Allo stesso tempo, il principale partito di opposizione, quello dei Laburisti, ha dichiarato che non offrirà sostegno all’accordo, invocando le elezioni generali, in quanto ritiene di avere le capacità di poter raggiungere un accordo ‘migliore’, ma senza aver dichiarato come.
Questo è il problema al centro della politica britannica. Ritenere che il Regno Unito abbia un elevato potere negoziale è errato, in quanto in realtà è stata l’Unione Europea a dettare i termini della Brexit fin dall’inizio.
I politici da un lato affermano che non c’è una maggioranza per sostenere il deal di May, ma allo stesso tempo dichiarano che non c’è una maggioranza per un no-deal. In assenza della ratifica di un accordo o della richiesta, accordata all’unanimità da tutti gli Stati membri, di posticipare la Brexit, allora il Regno Unito lascerà l’UE il 29 marzo 2019 senza un accordo o senza un periodo di transizione.
Riteniamo che il rischio di un no-deal porterà alla fine a trovare un supporto trasversale per l’accordo di May. Molti deputati laburisti hanno un approccio più centrista a favore dell’Europa, che li potrebbe spingere a sfidare la leadership del partito al fine di evitare una Brexit caotica. L’approvazione della legislazione completerebbe il percorso verso il periodo di transizione che, secondo il nostro precedente sondaggio di esperti valutari, potrebbe portare la sterlina fino a 1,40 contro il dollaro USA (apprezzamento del 9%). Poniamo una probabilità del 70% su questo risultato.
Se il Parlamento dovesse respingere il deal (30% di probabilità), allora si aprirebbero diversi scenari:

  • La chiamata alle elezioni generali
  • Un referendum a tre vie che includa un’opzione per rimanere nell’UE
  • Il Governo andrebbe avanti, avviando i preparativi per una Brexit senza accordo

Dubitiamo che le prime due opzioni possano produrre un risultato sostanzialmente diverso dal referendum precedente e dalle elezioni generali, quindi in questo caso la nostra view si sposterebbe sulla Brexit senza accordo. Ciò innescherebbe un sell-off sulla sterlina, che potrebbe spingere la valuta al ribasso fino a 1,12 contro il dollaro, con un declino di circa il 13%.
La strada da percorrere è politicamente irta e la sterlina inglese è destinata a rimanere molto volatile nei giorni a venire. Le prospettive immediate per il Regno Unito dipendono dalla capacità del Primo Ministro di vendere il suo accordo al Parlamento e al pubblico. In caso contrario, si rischia una Brexit no-deal, e una recessione nel Regno Unito l’anno prossimo.

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