La crescita globale si risincronizzerà e a beneficiarne saranno gli Emergenti

A cura di Ken Leech, CIO di Western Asset (affiliata del gruppo Legg Mason)
Le aspettative di crescita sincronizzata che hanno accompagnato l’inizio di quest’anno si sono infrante piuttosto rapidamente. Il 2018 è stato invece l’anno in cui la crescita globale è stata la più desincronizzata dal 1998. L’economia USA, potenziata dall’iniezione di stimoli a fine ciclo, si è rafforzata sempre di più; il resto del mondo, a causa delle tensioni commerciali e di molteplici rischi politici in diversi paesi, non ha fatto altro che indebolirsi. Questa divergenza ha portato ad una diffusa forza del dollaro, a tassi di interessi più alti negli USA e ad un aumento dei premi per il rischio nei prodotti a spread al di fuori degli USA, in particolare nei mercati emergenti.
 
Tutto ciò fino allo scorso ottobre, quando i timori di errori da parte della Fed, l’acuirsi delle tensioni commerciali e le preoccupazioni su Brexit e Italia hanno infine portato ad un indebolimento anche dei prodotti a spread USA. La crescita globale si è affievolita, e questa serie di rischi ha raggiunto l’apice dell’intensità. È lecito allora chiedersi: di fronte a così tante difficoltà, cosa potrà mai andare per il verso giusto?
 
A nostro parere – nonostante tutto – non solo molte cose potrebbero andare per il verso giusto, ma alcune lo stanno facendo già ora. Cominciamo dall’aspetto più importante: i fondamentali che sottostanno all’outlook economico. L’attenuazione dei livelli di crescita USA e globali (comunque ancora solidi) implica uno scenario di inflazione estremamente favorevole. Il restringimento delle condizioni monetarie, combinato con lo scemare degli effetti del taglio fiscale negli USA e con la reintroduzione di stimoli monetari e fiscali in Cina, promette bene per una possibile risincronizzazione della crescita globale. Tutto ciò dovrebbe essere positivo per i mercati del rischio globali. Ma tutte le incertezze di cui abbiamo parlato prima non potrebbero far precipitare la situazione? Di certo c’è bisogno di prudenza, ma crediamo ci siano segnali incoraggianti.
 
La Fed, sotto la guida di Jerome Powell, ha iniziato l’anno rivedendo al rialzo il suo percorso di rialzo dei tassi, sulla base di due considerazioni: un maggior spinta fiscale e una crescita globale più robusta. Ma oggi gli effetti del taglio delle tasse stanno svanendo, e la crescita globale ha rallentato il passo. Ad agosto il presidente Powell ha spiegato l’importanza di tener conto delle incertezze e delle difficoltà nel seguire strettamente i modelli economici della Fed, i quali si basano su una serie di assunti che storicamente sono stati spesso oggetto di revisione. L’umiltà di questa dichiarazione fu ben accolta dal mercato. La Fed dovrebbe infatti sì adottare una politica restrittiva con il risalire dell’inflazione, ma i restringimenti anticipati basati sui modelli della Fed spesso ha avuto esiti negativi. L’affermazione di Powell aveva dunque convinto gli investitori che un errore di politica monetaria fosse tutto sommato meno probabile.
 
Sfortunatamente, la successiva risposta che Powell diede in ottobre ad un giornalista riguardo il ciclo di rialzi – in cui il presidente Fed affermò di non sapere con precisione dove si posizionasse il livello di neutralità dei tassi, ma che di certo era molto lontano da quello attuale – ha ribaltato la linea di pensiero espressa ad agosto. Anche a causa di alcune dichiarazioni veramente imprudenti per un presidente della Fed, i mercati azionari e dei prodotti a spread USA non si sono praticamente ancora ripresi da quel commento del 3 ottobre.
 
Più recentemente, tuttavia, la Fed è tornata ad una retorica più prudente. Powell ha usato la metafora del muoversi con cautela in una stanza buia, e poco tempo fa ha dichiarato che la Fed è molto vicina al range neutrale (più o meno tra il 2,5% e il 3,5%). È stato un sincero ritorno sui propri passi, o solo la risposta ad un rapido restringimento delle condizioni finanziarie? Noi siamo ottimisti sull’effetto positivo di questo tono più prudente, ma è presto per dirlo. Altri fattori comunque sono più importanti ora. Il restringimento della politica monetaria è ormai in corso da due anni e lo stimolo fiscale sta svanendo. I dati dell’industria manifatturiera sono decisamente meno brillanti, la sfavillante industria del petrolio sembra in procinto di prendersi una pausa e l’edilizia è in declino, seppure moderato. Crediamo che, quando si troverà di fronte a prospettive di crescita e inflazione più chiaramente destinate al ribasso, la Fed segnalerà certamente una pausa nel ciclo di rialzi.
 
D’altra parte, le tensioni commerciali tra USA e Cina hanno introdotto un’incertezza profonda nell’economia globale. I premi per il rischio sono aumentati in maniera sostanziale, soprattutto nei mercati emergenti. Anche se c’è sempre speranza di una risoluzione definitiva della disputa tra i due paesi, a nostro parere l’aspetto più importante oggi è il ribaltamento della politica economica cinese che la trade war ha provocato. La campagna di deleveraging portata avanti dalla Cina a inizio anno è ormai acqua passata. Tagli ai tassi di interesse, riduzione degli obblighi di riserva, aumenti mirati della spesa fiscale, alleggerimento del peso fiscale e una rinnovata enfasi sul credito al settore privato ci indicano che il rallentamento dell’economia cinese dovrebbe invertirsi nei prossimi trimestri.
 
In Europa, la leggera frenata della crescita è ulteriormente zavvorata dai problemi che riguardano l’Italia e la Brexit. Si tratta di rischi da non ignorare. Di fatto sono il motivo principale per cui la politica monetaria resta così straordinariamente accomodante in Gran Bretagna ed Europa. Ma crediamo ci siano motivi per essere ottimisti e per pensare che gli scenari peggiori prezzati attualmente dai mercati non si verificheranno. Di certo la disputa tra Italia e UE continuerà ad occupare le prime pagine dei giornali, ma la distanza tra le due parti non è poi così grande. Per quanto riguarda la Brexit, crediamo che un eventuale accordo simile a quello proposto attualmente oppure una sorta di rinvio ulteriore della questione siano comunque più probabili di una “hard Brexit”.
 
In tutto ciò, qual è la posizione dei mercati emergenti? Una recessione globale causata dai fattori appena elencati sarebbe di certo altamente deleteria. Ecco perché questa asset class ha sofferto così tanto. La rotta dei mercati emergenti attraverso questo mare di rischi potrebbe sembrare troppo complicata. Ma è proprio questa la ragione per cui si tratta dell’asset class più sottovalutata (grafico).

 
Gli spread di rendimento tra il debito degli emergenti e quello dei mercati sviluppati sono vicini ai livelli del 2008 e del 2016. I livelli delle valute sono del 35% più bassi rispetto a soltanto cinque anni fa. Il differenziale tra rendimento reale dei mercati emergenti e quello dei mercati sviluppati ha raggiunto il livello più alto da 15 anni a questa parte. La nostra view dunque è che questa asset class beneficierà più di ogni altra di qualsiasi attenuazione dei rischi globali.
 
Il principio cardine dei policymaker dalla crisi finanziaria in poi è stato quello di sostenere la ripresa globale. La falsa speranza di inizio anno per cui si riteneva che l’accomodamento monetario potesse essere ritirato in maniera ragionevolmente benigna è stato rimpiazzato dalla realtà: la stampella monetaria resta necessaria. In Europa e Giappone lo stimolo straordinario resta in corso. La Cina ha ora deciso di aumentarlo di nuovo. E negli USA, l’attenta gestione del rischio rimarrà l’imperativo delle mosse della Fed. A nostro parere questi aggiustamenti di politica monetaria aiuteranno a tenere in vita l’espansione globale, ed è sulla base di questo ottimismo che basiamo la nostra strategia di investimento.

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