Crescita globale addio

A cura dell’Axa IM Research & Investment Strategy Team
Le ultime battute del ciclo
Con l’approssimarsi della fine del 2018, illustriamo le nostre previsioni per il 2019. E siccome i mercati guardano al futuro (con qualche limitazione, secondo alcuni), presentiamo le nostre stime macroeconomiche per i prossimi due anni.
Gli Stati Uniti nel 2018 dovrebbero riportare una crescita del 2,9%, il risultato migliore dal 2006. Questo andamento, favorito da una straordinaria espansione fiscale pro-ciclica, dovrebbe continuare per un po’ di tempo. Iniziamo però a intravedere qualche ostacolo: stanno svanendo gli effetti delle riforme fiscali, le politiche commerciali si fanno restrittive e, fattore più importante secondo noi, assistiamo a una contrazione delle condizioni finanziarie, per citarne solo alcuni. Queste dinamiche dovrebbero provocare un classico rallentamento ciclico al 2,3% nel 2019. Per il 2020, le stime di consensus, e anche quelle del Federal Open Market Committee, sono per un soft landing, ma sulla base dei dati storici, a nostro avviso, sono più probabili delle brusche frenate. Generalmente, le economie in decelerazione entrano in un circolo vizioso caratterizzato dal calo della fiducia, dalla flessione della spesa e degli investimenti e dalla riduzione delle scorte. È estremamente difficile prevedere con precisione le tempistiche di una recessione, ma per il 2020 ci aspettiamo, negli Stati Uniti, una crescita inferiore alle medie dell’1,4%.
In questo aggiornamento più ciclico, abbiamo modificato la nostra previsione sui rialzi dei tassi di interesse da parte della Federal Reserve. Crediamo che a fine 2019 si attesteranno intorno al 3%-3,25%, dopo un intervento ampiamente previsto a dicembre e altri tre rialzi il prossimo anno. A fine 2020 ci aspettiamo un’inversione di tendenza con l’avvio di una fase di allentamento.
L’Europa rallenta ancora e deve affrontare l’impasse politica
In ritardo di quasi due anni in questa espansione ciclica, principalmente a causa degli errori politici, anche l’Eurozona sfortunatamente sta già rallentando. Dopo un anno incredibilmente deludente, nel 2018, con una crescita che si attesterà probabilmente all’1,9% rispetto al 2,5% del 2017, sebbene gli indicatori delle imprese prevedessero un’accelerazione un anno fa, ci aspettiamo che la crescita dell’Eurozona scenderà ancora all’1,4% nel 2019 e poi all’1,2% nel 2020. Mentre consumi e costruzioni dovrebbero restare abbastanza stabili, gli investimenti da parte delle imprese verosimilmente rallenteranno con il calo di fiducia (la domanda di credito delle imprese è sui minimi da inizio 2014) e la flessione della redditività. Fattore più importante, gli scambi commerciali netti graveranno probabilmente sulla crescita, con il rallentamento della domanda esterna, principalmente da Stati Uniti e Cina, e con il calo di competitività a fronte di un volume di importazioni piuttosto robusto.
Questa fase di stallo potrebbe spingere la Banca centrale europea (BCE) a portare il tasso sui depositi allo 0% entro la primavera del 2020. Sebbene l’inflazione sia vicinissima all’obiettivo, tale intervento sarà presentato come una fase di normalizzazione più che come una stretta, evidenziando il fatto che le ripercussioni della politica caratterizzata dai tassi di interesse negativi stanno superando progressivamente i suoi vantaggi. Nel primo semestre del prossimo anno ci aspettiamo qualche operazione mirata di rifinanziamento a più lungo termine.
In un contesto già poco promettente, si intensificano i rischi per la politica europea. Innanzitutto, c’è la saga sul bilancio in Italia e il potenziale rischio di un contagio finanziario. Come previsto, la Commissione Europea ha aperto la procedura per eccesso di indebitamento. Se le nostre previsioni macroeconomiche sono corrette, le agenzie di credito potrebbero rivedere le loro valutazioni al ribasso nei prossimi mesi, mentre il rallentamento della crescita farà risalire il debito pubblico. In secondo luogo, mentre il Primo Ministro Theresa May il 14 novembre ha perfezionato l’accordo con la Commissione Europea per l’uscita del Regno Unito dall’unione, i sostenitori della Brexit, il Partito Unionista Democratico dell’Irlanda del Nord e i Laburisti hanno manifestato la loro opposizione e c’è il rischio che il Parlamento britannico respinga la proposta a dicembre. L’incertezza politica resta chiaramente alta nel Regno Unito e siamo consapevoli che c’è la possibilità concreta che si arrivi a marzo con un “no deal”. Infine, l’amministrazione americana ha alleggerito le pressioni protezionistiche contro la Cina, ma l’imposizione dei dazi nel settore automobilistico dell’Unione Europea resta possibile nel corso del 2019.
Asset Allocation: un piede sul freno
Il 2018 è stato un anno di frustrazioni per gli investitori. Nonostante un contesto economico abbastanza positivo e un’ottima crescita degli utili nella maggior parte delle regioni, i mercati globali hanno realizzato scarse performance. Nel momento in cui scriviamo, tutte le principali categorie di investimento liquide hanno riportato un rendimento complessivo negativo da inizio anno. Nell’Outlook 2018 avevamo ipotizzato che la chiusura del Quantitative Easing avrebbe potuto avere qualche conseguenza negativa, facendo scendere i prezzi degli strumenti finanziari e aumentare le correlazioni. Dalla seconda metà del 2018, il volume dei titoli detenuti dalle banche centrali globali è calato, con l’avvio di un processo di disinvestimento che potrebbe durare diversi anni.
Se questa previsione si rivelasse corretta, il 2019 potrebbe essere difficile come il 2018. È per questo che vogliamo essere più prudenti nell’asset allocation. Le prospettive ci sembrano meno positive per gli strumenti più esposti al rischio e prevediamo di riportare le azioni a una posizione neutrale nel corso del prossimo anno. Conserviamo inoltre una posizione sottopesata nel credito, e neutrale in liquidità e titoli di Stato.
L’orientamento prudente della BCE, l’inflazione che continua a deludere (breakeven stabile) e l’intensificarsi del rischio politico in Italia dovrebbero mantenere i rendimenti dei Bund entro una banda di oscillazione tra lo 0,2% e lo 0,7%. La situazione in Italia si è deteriorata e ci aspettiamo un rialzo dei rendimenti dei bond decennali, che potrebbero superare il 4%. Negli Stati Uniti, c’è valore nei Treasury oltre la soglia del 3,25%, soprattutto come fattore di differenziazione nel caso di un rallentamento macroeconomico più pronunciato. Gli spread di credito resteranno probabilmente sotto pressione nel 2019 a causa di una serie di fattori macroeconomici e di uno scenario tecnico meno vantaggioso. In particolare, siamo preoccupati per la percentuale record di titoli di credito con rating BBB nel segmento investment grade, poiché questo alimenta il rischio che confluiscano nell’high yield.
Tornando alle azioni, il nostro scenario di base di una decelerazione dell’attività economica potrebbe gravare sulla crescita dei ricavi mentre si intensificano anche le pressioni sugli utili. La crescita degli utili per azione dovrebbe attestarsi intorno al 7% per le azioni globali. Ciononostante, il calo della liquidità in eccesso e l’aumento dei tassi di interesse a breve termine negli Stati Uniti, oltre a un eventuale aumento dei premi per il rischio azionario determinato da un incremento della volatilità e dall’indebolimento della fiducia degli investitori, indicano che c’è poco spazio per un’espansione dei multipli.
Previsioni macroeconomiche


Previsioni sulla politica monetaria

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