Il mercato teme passi falsi della Fed

A cura di Eric Vanraes, Fixed Income portfolio manager di EI Sturdza
La Federal Reserve ha fatto esattamente quello che ci si aspettava. Abbastanza, ma non troppo, giusto per evitare eventuali situazioni di panico. Un rialzo dei tassi, ma stime più da colomba per l’anno prossimo. Era assolutamente impossibile evitare questo rialzo. Il messaggio era stato lanciato troppe volte e dopo le frequenti frecciate e i commenti di Trump in direzione della Fed, una decisione diversa sarebbe stata un segnale di resa, nonché una prova che la banca centrale americana aveva rinunciato alla sua indipendenza.
Ora che i Fed funds sono al 2,5%, Washington ha annunciato che sarà possibile operare solo due rialzi dei tassi di interesse nel corso del prossimo anno, al contrario dei tre precedentemente in agenda, e i dot plot mostrano un atteggiamento “meno da falco”. Le parole sono infatti diverse: finora è stato detto che i rialzi dei tassi nel 2019 erano “obbligatori” (required), mentre ora sono “necessari” (needed). Di conseguenza, crediamo ci sarà un solo rialzo dei tassi nei prossimi 12 mesi e che presto, probabilmente al termine del 2019, la Fed si troverà a dover nuovamente allentare.
Lo si può già notare nella parte corta della curva di rendimento. Il Libor a 3 mesi è al 2,8%, il treasury biennale al 2,65%, mentre quello a 5 anni al 2,63%, un segno dell’avvenuta inversione. La parte lunga rispetta esattamente le nostre previsioni: il Treasury a 30 anni è al 3%, mentre il decennale scambia intorno al 2,75%. Adesso dobbiamo aspettare la reazione dei mercati azionari. Se lo S&P 500 rimane oltre i 2.400 punti, la curva dei Treasury potrebbe stabilizzarsi su questi livelli, ma se la barriera non regge si potrebbe scendere fino a 2.100 e i rendimenti dei titoli di Stato Usa scenderebbero drammaticamente.
Ufficialmente la Fed dirà che continuerà a monitorare molto da vicino gli sviluppi internazionali (la guerra commerciale, Brexit, l’Europa…), ma la verità è che saranno dipendenti come mai prima dai dati domestici e, in particolare, dai consumi che valgono ancora 2/3 del Pil Usa. Nel frattempo l’inflation breakeven a 30 anni, ovvero il tasso d’inflazione implicito nelle quotazioni di un titolo indicizzato che permette al rendimento a scadenza dello stesso titolo di uguagliare quello di un bond a cedola fissa di analoga vita residua, sta scendendo drammaticamente.
Il problema ora è che il mercato teme un passo falso da parte della Fed. Quello che in Europa chiamiamo un “Jean-Claude Trichet 2008”, quando la Bce ha preso la stupida decisione di operare un rialzo dei tassi nel luglio 2008.
Spostandoci proprio all’Eurozona: gli ultimi acquisti dell’era Quantitative Easing sono stati ieri. Il comportamento della Fed non aiuta per niente Mario Draghi, anzi lo mette all’angolo. Il rallentamento in Europa sta arrivando più rapidamente di quanto anticipato e la Bce si trova a monitorare la situazione senza la possibilità di intervenire (il tasso di deposito è al -0,4%, quello di rifinanziamento allo 0% e priva del QE). Potrebbe esserci il bisogno di un QE2 già nella seconda parte del prossimo anno.

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