Il 2019? Il peggior anno per l’economia mondiale

“Mentre ci apprestiamo a chiudere il miglior anno di crescita dal 2010 il ciclo dell’economia mondiale ha già avviato un evidente rallentamento, guidato dall’Asia e dall’Europa, che trascinerà anche l’economia americana nel pantano della stagnazione già a partire dai primi mesi del prossimo anno. Da un punto di vista macro il 2019 rischia di essere uno degli anni peggiori per l’economia mondiale dell’ultimo decennio”. E’ l’analisi di Maurizio Novelli, gestore del Lemanik Global Strategy Fund.
Gli Stati Uniti sono riusciti a spostare la traiettoria della crescita dal 2% al 2,8% nel corso del 2018 ma questo è stato ottenuto grazie a una politica fiscale non sostenibile che già nel 2019 si dissolverà. Il piano fiscale espansivo voluto dai repubblicani si sta trasformando in un fallimento. Lo stimolo fiscale è stato troppo favorevole alla “Corporate America”, che era già ben messa prima, e troppo timido verso la classe medio bassa. I consumi sono quindi rimasti troppo dipendenti dal debito privato più che da un aumento dei redditi e gli investimenti non sono ripartiti come si pensava.
A questo punto è molto probabile che la crescita degli Stati Uniti ricadrà sotto il 2% nel 2019, confermando dunque il picco dei profitti delle società quotate, senza ulteriori spazi di manovra sulla politica fiscale e con un contesto mondiale in rallentamento. La Fed dovrà fermare il rialzo dei tassi dopo l’eventuale rialzo di dicembre, la Bce si troverà a dover interrompere il Quantitative Easing con l’economia europea che ha già alle spalle il miglior periodo di crescita e la Bank of Japan rimarrà l’unica banca centrale impegnata a “tamponare” la contrazione della liquidità internazionale.
“La sensibilità del ciclo è strettamente dipendente dallo stock di leverage e credito che circola nel sistema e il leverage, così come il credito, dipendono solo dalla propensione al rischio”, spiega Novelli. “Se gli investitori ritengono che la remunerazione ricevuta non sia sufficiente a proteggerli da eventuali perdite si innesca un risk-off che avvia il deleverage nel sistema e il deleverage provoca la recessione. Poiché oggi il leverage nel sistema è ai massimi di tutti i tempi e ha una componente speculativa che supera di gran lunga i precedenti picchi di credito speculativo nell’economia, il risk-off avrebbe un impatto sull’economia reale molto maggiore. Quello che appare evidente è che, appena il ciclo economico americano non è sostenuto da politiche fiscali espansive, tende a ricadere nella stagnazione. Questo fenomeno è lo stesso che ha caratterizzato l’economia giapponese dopo la grande crisi di fine anni ottanta e conferma che liberare l’economia dall’eccesso di debito non è così semplice quando il debito è concentrato nel settore privato”.
Mentre il Giappone può reggere l’indebitamento perché è finanziato dal risparmio interno e la Bank of Japan riesce a mantenere i tassi d’interesse a zero come e quando vuole, per gli Stati Uniti questa strategia è quasi impossibile perché non ha risparmio interno e il debito è finanziato con il risparmio estero di Cina, mercati emergenti e Giappone. Se il ciclo americano inizia a cedere in concomitanza con un evidente picco nel ciclo del credito e dell’indebitamento del sistema si delinea all’orizzonte una crisi del dollaro e delle asset class Usa, con ripercussioni negative sull’economia internazionale.
Cercare di uscire dalla trappola del debito con nuovo debito non è possibile se non si riesce a creare un’inflazione tale da svalutare il debito e rendere il suo costo reale negativo. Mentre questo potrebbe essere fattibile per il Giappone, risulta alquanto difficile per l’America che dipende troppo dai finanziamenti dall’estero e deve garantire dunque una remunerazione reale accettabile ai suoi finanziatori. La trappola del debito è dunque aumentata di dimensione per gli Stati Uniti e la strategia implementata si sta rivelando insostenibile nel medio e lungo periodo, proprio quando i benefici del breve periodo si stanno esaurendo.
“Alla luce di queste considerazioni sarebbe opportuno che gli investitori si preparino a momenti molto difficili perché la recente discesa dei mercati finanziari non è una correzione ma l’apertura di un bear market”, conclude Novelli. “Rimaniamo decisamente positivi sui treasuries a 10 e 30 anni perché la Fed non ha tutto lo spazio che dichiara nell’aumentare i tassi d’interesse e la curva è destinata a invertirsi nell’arco di qualche mese. Siamo negativi sulla divisa americana e rialzisti sulle prospettive dell’oro nel medio e lungo periodo. La debolezza strutturale del dollaro costituirà inoltre un elemento favorevole per le asset class dei mercati emergenti”.

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