Materie prime in attesa di una tregua dalla guerra commerciale

A cura di David Donora, Responsabile materie prime di Columbia Threadneedle Investments

All’inizio del 2018, le materie prime sembravano in procinto di inaugurare una fase rialzista. La crescita economica era sostenuta e sincronizzata sia nei paesi sviluppati che in quelli emergenti. L’amministrazione statunitense aveva rilanciato l’economia tramite tagli delle imposte finanziati in deficit. Il dollaro più debole aveva allentato gli effetti negativi sui mercati emergenti. Per finire, l’aumento delle quotazioni petrolifere e il parziale miglioramento dei prezzi dei metalli di base sottendevano a dinamiche positive per le materie prime in generale.

Un altro segnale positivo era il fatto che i produttori agivano in maniera composta: erano concentrati sulla restituzione di valore agli azionisti piuttosto che sul potenziamento della produzione. Sembrava che i prezzi delle materie prime avessero raggiunto un punto d’inversione e stessero per cominciare ad aumentare in tutti i settori.

Ma poi alcune cose sono cambiate, a mio avviso posticipando di almeno un anno l’inizio dell’inevitabile fase rialzista delle materie prime. Pertanto, sembra che sarà il 2019 l’anno destinato a registrare un aumento significativo dei prezzi.

Gli attriti commerciali deprimono le quotazioni

Tra i fattori chiave che hanno ritardato l’avvio della fase rialzista vi sono le guerre commerciali, che hanno pesato enormemente sulle materie prime, in alcuni casi spingendone nettamente al ribasso i prezzi. Gli Stati Uniti hanno cominciato a discutere prima con Canada, Messico e, in parte, con l’Europa, ma è con la Cina che lo scontro ha assunto una portata decisamente più ampia. I semi di soia hanno accusato il colpo più immediato, innanzitutto perché Pechino ha adottato il pugno duro e smesso completamente di acquistare quelli provenienti dagli USA. L’anno scorso, gli Stati Uniti hanno esportato in Cina più di 30 mmt di semi, oltre un terzo della produzione totale. L’eccezionale raccolto 2018 si sta accatastando in tutto il Midwest in attesa di una risoluzione del conflitto. Per gli agricoltori e gli operatori dei mercati delle materie prime in attesa di segnali, i semi di soia sono il vero epicentro in quanto rappresentano la merce più esportata dagli Stati Uniti in Cina (più di USD 12 miliardi l’anno), che dunque incide pesantemente sui coltivatori degli Stati della “grain belt”, irriducibilmente repubblicani.

Le guerre commerciali hanno depresso i prezzi dei metalli di base anche a causa del marcato crollo del commercio globale. Negli ultimi mesi del 2018 si è temuto sempre più che un conflitto protratto tra USA e Cina potesse far rallentare entrambe le economie. La Cina può stimolare la sua economia a colpi di FAI, ma è più probabile che Xi usi il conflitto come una copertura per continuare a eseguire e riformare, rendendo semplicemente un po’ meno duro l’atterraggio. A questo punto non è chiaro se la “Tregua commerciale” siglata dai due leader al G20 possa essere qualcosa di più di una semplice sospensione dell’escalation, ma di sicuro ci consente di essere più ottimisti.

Una linea non molto dura sull’Iran

I mercati petroliferi hanno registrato una grande ondata di volatilità dopo che gli Stati Uniti si sono ritirati dall’accordo sul nucleare iraniano e hanno adottato toni molto duri sulle sanzioni e sulla chiusura alle esportazioni iraniane nell’intento di fiaccare il regime. Tuttavia, le deroghe inaspettatamente generose concesse a otto delle maggiori nazioni importatrici di petrolio iraniano hanno fatto crescere esponenzialmente gli acquisti e compresso in parte le importazioni di Brent e WTI. In un breve lasso di tempo, le quotazioni hanno azzerato il premio al rischio e portato il Brent a 86 dollari il barile, per poi spingere il mercato al ribasso fino a 58 dollari al barile nel giro di poche settimane. Dopo le forti pressioni sui paesi chiave dell’OPEC affinché incrementassero la produzione alla vigilia delle elezioni di metà mandato, eliminando fulmineamente le strozzature nel Bacino Permiano, al cartello viene ora chiesto di tagliare la produzione di 1-1,5 milioni di barili al giorno, in quanto le nazioni produttrici hanno bisogno del Brent più vicino agli 80 che ai 60 dollari al barile per conseguire il pareggio di bilancio. Pur ritenendo che l’OPEC allenterà la produzione e ribilancerà il mercato a inizio 2019, l’equilibrio geopolitico è estremamente delicato in quanto i paesi del Consiglio di Cooperazione del Golfo hanno bisogno del sostegno militare degli Stati Uniti per i loro conflitti regionali. È probabile che le quotazioni del greggio rimarranno basse fino a che il ribilanciamento non comincerà a intaccare le riserve. Più a lungo termine, siamo ottimisti sui prezzi del petrolio.

Le ricadute delle guerre commerciali si stanno estendendo a più mercati delle materie prime. A fine novembre, il Bloomberg Commodity Index aveva perso il 6% su base annua. Si tratta di un risultato tutt’altro che sorprendente, visto che, in aggiunta agli effetti della guerra commerciale, il dollaro più forte e l’aumento dei tassi d’interesse statunitensi hanno esercitato ulteriori pressioni al ribasso sui prezzi delle materie prime. La solidità del dollaro nella seconda metà del 2018 ha inciso negativamente perché ha attutito la crescita in alcuni mercati emergenti, da cui proviene tendenzialmente il maggiore aumento della domanda di materie prime. In poco tempo, le forze macro hanno cominciato a giocare a sfavore delle materie prime nel breve termine.

In attesa di una fase rialzista

Il primo scorcio del 2019 si preannuncia all’insegna della cautela. Riteniamo che Stati Uniti e Cina risolveranno le proprie divergenze, possibilmente nel primo semestre, innescando una ripresa della domanda e dell’attività economica che è rimasta in sospeso tanto nelle economie emergenti quanto in quelle sviluppate. Fino ad allora, il mercato sarà altamente instabile, in balia delle notizie provenienti dai vari bracci di ferro ancora in corso sul fronte geopolitico ed economico. Il rischio al ribasso emerge in caso di contagio dei conflitti economici e del nazionalismo, laddove altri paesi decidessero di seguire l’esempio degli Stati Uniti cercando di strappare concessioni economiche a quelli che una volta erano i loro alleati geografici, politici e commerciali e che si collocano un gradino più in basso nella linea gerarchica.

D’altro canto, se le tensioni geopolitiche si allentassero e l’attività e lo sviluppo economico non venissero frenati, si avrebbe un notevole rally dei metalli di base e un impatto positivo per l’energia, sia gas che petrolio; entrambi questi sviluppi favorirebbero anche alcuni segmenti agricoli, in particolare semi oleosi, merci deperibili e bestiame.

Le materie prime sono cicliche. Hanno attraversato una fase ribassista e rimbalzato per qualche anno dal punto minimo, pertanto l’inizio della prossima fase rialzista è solo una questione di tempo. La sfida per gli investitori è restare pazienti fino a che non emergeranno chiari segnali di tale avvio, come ad esempio la rigidità delle scorte di materie prime sottostanti, un’attività economica reale sostenibile, un dollaro USA stabile o in calo, una significativa crescita salariale e il rialzo dei tassi d’interesse. Le scorte di rame, ad esempio, si sono ridotte anche durante le guerre commerciali del 2018. In tutti i mercati delle materie prime, vi sono delle onerose giacenze da smaltire prima che possa verificarsi un apprezzamento significativo. A nostro parere, le guerre commerciali e altri fattori negativi hanno solo ritardato l’inevitabile.

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