L’alta volatilità continua a farla da padrona

Mercati azionari ieri in serata in cerca di un timido consolidamento dopo un avvio d’anno estremamente pesante in forza dei deludenti dati macro cinesi e di una rilevazione sui PMI manifatturieri europei che seppure in linea con le previsioni, mostrano la crescita più debole dal 2016 nella zona Euro.
In attesa del primo dato saliente di questo 2019, la rilevazione dei nuovi occupati americani domani (Non Farm Payrolls), Wall Street riesce faticosamente a recuperare sul finale dopo una sessione prevalentemente in rosso, complice la conferma della recente lettura robusta sul settore manifatturiero e malgrado un ennesimo scivolone di Apple, che sul profit warning lanciato nel pomeriggio arriva a cedere il 7% nel dopo mercato portando al 32% la flessione complessiva del titolo a far data dal picco registrato in ottobre.
In un contesto in cui i listini americani sembrano, seppur leggermente, migliori di quelli asiatici o europei, il dollaro torna ad apprezzarsi e dopo aver toccato un minimo contro euro in area 1,15 si porta in serata a ridosso di quota 1,13 consolidando una reazione significativa che ci conferma oltrettutto come la fase di elevata volatilità sul comparto valutario sia tutt’altro che sfumata con il cambio di calendario.

Volatilità elevata annche sul comparto petrolifero, con il Brent che arriva a capitalizzare progressi superiori al 5% sulla notizia del vistoso calo della produzione OPEC in dicembre (in anticipo quindi rispetto ai tagli programmati nel primo trimestre del 2019) grazie essenzialmente all’intervento preventivo dell’Arabia Saudita che ha ridotto nel mese la produzione per 420.000 barili/gg facendo scendere la produzione OPEC nel mese passato per complessivamente 530.000 barili/gg (se comprendiamo anche il calo delle esportazioni libiche), il più significativo arretramento su base mensile a far data dal gennaio 2017; ricordo che qualche settimana fa l’OPEC si è impeganta ad un taglio di 800.000 barili/gg a cui vanno aggiunti i 400.000 barili dei produotti non aderenti al cartello.

Nel frattempo l’oro continua la scalata verso quota 1.300$/oncia; le quotazioni del metallo prezioso (e le azioni dei produttori auriferi) sono state le vere e proprie stelle del comparto nel trimestre passato; comparati ad uno S&P500 in flessione del 15%, l’Oro ha infatti capitalizzato un rialzo del 7,5% mentre i produttori minerari hanno registrato un rialzo complessivo pari al’11,6%.

Lentusiasmo registrato su petrolio e oro non sembra però traslarsi sul comparto dei non ferrosi ancora ieri in pesante arretramento specie se guardiamo le quotazioni del rame, letteralmente colassate in area 5.800$ dopo il tentativo della primissma mattina di toccare quota 6.000$, e l’Alluminio, che continua costantemente a scivolare al ribasso infragendo in serata anche il supporto psicologico dei 1.800$. Prese di beneficio particolarmente evidenti anche sui due metalli che al momento offrono le prospettive macro più incoraggianti, piombo e zinco, entrambi ieri in flessione nell’ordine del 3%. Unico metallo in apparente controtendenza il nickel in progresso del 2% sulla scia delle utlime rilevazioni del INSG che ha rivisto al rialzo le stime di deficit di metallo nel periodo gennaio-ottobre 2018 a 118.700t contro le 86.500t dello stesso periodo nel 2017. Il generale orientamento degli operatori rimane quello di un cauto accumulo di posizioni in acquisto su quasi tutti i metalli del comparto, complici i buoni fondamentali macro, ma con l’evidente difficoltà generata dalla mancanza di rezioni significative al rialzo ormai da parecchie sessioni a questa parte.

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