L'informativa continua

Ebbene le cose non stanno esattamente così.
 
La nuova normativa ha cambiato molte cose e sicuramente si è portata via una notevole parte delle tutele assicurate dal previgente assetto al cliente retail, come mi sono sforzato più volte di dimostrare anche da queste colonne. Tuttavia la storia è ancora lunga se appena si considera la strana, e per certi versi, anomala declinazione della disciplina nazionale.
 
In questo senso mi pare sia da segnalare l’intervento della Corte d’Appello di Milano che, con la sua recente sentenza 19 febbraio 2009 ha affermato un principio chiaramente espresso nella disciplina (ma sino ad oggi per nulla riconosciuto dalla giurisprudenza) dalle conseguenze pratiche potenzialmente micidiali. Si tratta, in una parola, del riconoscimento in capo all’intermediario di un obbligo di rendere al proprio cliente un’informativa piena e continua in relazione anche alle operazioni compiute. Il caso esaminato dalla Corte milanese è piuttosto banale; si tratta infatti di un acquisto in raccolta ordini di obbligazioni argentine da parte di un risparmiatore tramite una grande banca. Tra gli altri aspetti interessanti della decisione (che afferma anche l’autonomia contrattuale del singolo ordine, valutazione sulla quale avrei più di un dubbio) emergono le solide argomentazioni che portano la Corte a concludere che “Gli obblighi informativi dell’intermediario, sia che abbiano natura generale o specifica, sia che riguardino profili soggettivi o oggettivi, non possono ritenersi esauriti con il compimento di attività preventive o contestuali alla stipulazione del contratto quadro e alle singole prestazioni dei servizi di investimento. Tali obblighi, ove tra le parti esista un vincolo contrattuale destinato a regolare nel tempo l’attività di investimento, devono, infatti, ritenersi estesi all’intero periodo di vigenza del contratto, posto che l’esigenza di una informazione il più possibile corretta ed adeguata nei confronti dell’investitore – che è la ragione fondamentale che permea l’intera normativa in materia – raccordandosi anche al principio di correttezza e buona fede nell’esecuzione del contratto, sussiste in presenza di ogni atto o circostanza sopravvenuta idonea ad incidere negativamente sul livello informativo raggiunto in occasione ed in relazione ai singoli contratti di acquisto”.
 
Le basi su cui correttamente di fonda la motivazione sono sostanzialmente due: l’art. 1375 del codice civile e l’art. 21 del TUF. La prima è la norma che impone al contraente di eseguire il contratto secondo buona fede; al suo riguardo sono stati versati litri di inchiostro ma, nonostante i confini non certo netti dell’obbligo che pone, è sempre più spesso utilizzata per fondare la responsabilità di quel contraente che, pur formalmente adempiendo alle obbligazioni assunte, mantenga un comportamento tale da danneggiare la sua controparte o conseguire un vantaggio palesemente iniquo.
 
So che a molti giuristi verranno i brividi a sentir sintetizzare sbrigativamente la portata dell’art. 1375 c.c., ma non me ne preoccupo molto perché, a mio avviso, quello che davvero fonda la sentenza è il disposto dell’art.21, comma 1, lettera b) del TUF, pure richiamato nel provvedimento, che impone esplicitamente agli intermediari di “operare in modo che essi [i clienti] siano sempre adeguatamente informati”. 
 
Appare chiaro che quel sempre non è negoziabile e finalmente qualcuno se n’è accorto. Le conseguenze pratiche adesso appaiono subito rilevanti: se l’intermediario ha l’obbligo di informare il cliente con continuità anche dopo il collocamento allora non solo rientra dalla finestra quell’obbligo di conoscere e monitorare i prodotti collocati che era sparito con il regolamento n. 11522, ma si dovrà riconoscere la responsabilità di quel collocatore che abbia omesso di comunicare alla propria clientela la variazione di un rating o qualsiasi altro evento rilevante in relazione all’investimento promosso (e sappiamo che sono molti).
 

La sentenza adesso, sono certo, vi risveglia molti ricordi; le obbligazioni di banche fallite, le polizze con sottostanti targati Madoff, le buone vecchie argentina; e non dimentichiamo il futuro: come dicevo, la MiFID non ha abrogato l’art. 21 TUF.  

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