Mercato del credito: segnali falsi, opportunità vere

A cura di Brad Tank, President e Chief Investment Officer – Fixed Income, Neuberger Berman

I dati sugli utili diffusi a Wall Street mettono a nudo delle opportunità nel mercato del credito

In un passato ormai lontano, i picchi di volatilità di un mercato finanziario tendevano ad arricchire considerevolmente gli intermediari che fanno il trading di titoli per fornire di liquidità quel mercato. Non è un segreto che oggi una convergenza tra modifiche del quadro normativo, ascesa del trading elettronico ed evoluzione degli stili di gestione ha portato a un ridimensionamento del rischio assunto da questi operatori del mercato.

Sin dal 2010, il Fondo Monetario Internazionale (FMI), la Federal Reserve Bank di New York e altri istituti hanno documentato questo fatto attraverso numerosi studi, esaminando le dimensioni dei bilanci dei dealer, i volumi scambiati, gli spread denaro/lettera, la volatilità di mercato e altri fattori pertinenti.

Dopo una contrazione del 75% tra il 2008 e il 2010, i bilanci in corporate bond dei dealer hanno registrato un andamento generalmente piatto, mentre i volumi scambiati sono tendenzialmente aumentati. Negli ultimi anni, anche gli spread denaro/lettera si sono generalmente ampliati.

In passato, se nel quarto trimestre 2008 i volumi scambiati fossero aumentati, accompagnati da un allargamento degli spread, avremmo probabilmente assistito a risultati decorosi per le attività dei dealer di Wall Street. E invece è accaduto esattamente l’opposto.

Risultati deludenti per i desk di trading

I report sugli utili del quarto trimestre rivelano che presso Bank of America i ricavi da trading nel reddito fisso sono calati del 15%. Lo stesso è accaduto con Citi: -21%. JPMorgan, dove il trading obbligazionario ha archiviato il peggior trimestre dal 2008 in poi, ha visto i ricavi contrarsi del 18%. Un declino analogo ha colpito Goldman Sachs e Morgan Stanley. Lo scivolone di Deutsche Bank è stato del 23%.

Mai, a quanto mi è dato di ricordare, un periodo così volatile sui mercati obbligazionari è stato seguito da risultati di trading talmente deludenti. I colleghi che si occupano di trading per i nostri portafogli obbligazionari confermano lo scenario delineato da queste cifre: per tutto dicembre Wall Street ha chiuso bottega e praticamente tutte le operazioni hanno dovuto essere eseguite tramite intermediari.

È chiaramente l’effetto delle dinamiche stagionali in atto durante l’escalation dello scivolone dei mercati durato fino alle vacanze natalizie. Ma chiaramente è anche un segnale che il cambiamento strutturale avvenuto dopo la crisi finanziaria, che include l’impatto della Volcker Rule e di Basilea III, ha fatto a pezzi la capacità delle banche di immagazzinare titoli per mettere a disposizione degli operatori di mercato la liquidità. Un altro fattore è emerso prepotentemente: la scelta del management di astenersi dal trading.

Mediamente, i dealer hanno riportato volumi di trading decorosi per il trimestre, ma se si considera tutto ciò che nel periodo è accaduto sui mercati è facile sostenere che avrebbero dovuto essere volumi molto maggiori.

La riluttanza nei confronti del trading deriva probabilmente dalla concomitanza di due elementi: il tentativo delle banche di preservare quello che, in generale, è stato un anno piuttosto buono per il mercato azionario e la scarsa propensione del mercato azionario di premiare l’assunzione del rischio, come dimostra la flessione dei multipli P/E per tutto il 2018.

Segnali falsi

È un déjà vu. Il 2016 si è aperto con ampie aspettative di un imminente rallentamento dell’economia globale. Esattamente come oggi, chi si diceva preoccupato faceva notare la convergenza tra le cattive notizie sulla Cina e sui corsi petroliferi e i segnali inviati dall’allargamento degli spread creditizi e dalla volatilità del mercato azionario. Allo stesso tempo, sminuiva indicatori fondamentali di base, come la costruzione di nuove abitazioni o la fiducia dei consumatori, che si presentavano in ottima salute.

A tre anni di distanza, è chiaro che i mercati finanziari stavano mandando segnali falsi. E sulla scorta di quei segnali, un maggior numero di investitori cercò di vendere in mercati illiquidi, rafforzando ulteriormente i segnali stessi.

Pertanto i picchi di volatilità saranno probabilmente più frequenti e più violenti rispetto a prima e ciò significa che i modelli di previsione economica basati sugli indicatori dei mercati finanziari saranno probabilmente non più interamente affidabili.

Flessibilità

Come nel 2016, anche il dicembre scorso diversi fattori economici fondamentali, in particolare negli Stati Uniti, sono parsi solidi, ma la propensione al rischio era svanita e le nuove emissioni obbligazionarie erano ferme. Un simile quadro tecnico ha creato i presupposti per un notevole rimbalzo, come abbiamo visto nel mese di gennaio.

Per approfittarne, un investitore doveva possedere la flessibilità necessaria a fornire liquidità nel momento in cui la domanda era più alta, ma doveva anche saper vedere oltre i segnali falsi dei mercati per trovare la convinzione necessaria a compiere tale passo.

La flessibilità può nascere da un portafoglio costruito con solidità, mettendo l’accento sulla gestione della liquidità. All’atto pratico questo significa che anche un portafoglio high yield puro necessita di obbligazioni che si possono vendere a prescindere dalle condizioni, con una focalizzazione sui cash flow previsionali provenienti da asset nominalmente illiquidi. Nei portafogli mutisettoriali, mutui, che possono generare un’abbondante liquidità sia tramite le cedole che attraverso l’ammortamento, possono svolgere un ruolo interessante, per esempio. Questi possono rappresentare soluzioni noiose per consentire un elettrizzante opportunismo.

Per gli investitori tradizionali di lungo termine, la scarsa propensione dei dealer al trading costituisce in ultima analisi un’opportunità di farsi avanti e colmare il vuoto, a prezzi che in un secondo momento potrebbero rivelarsi molto interessanti. Ed è esattamente quello che abbiamo fatto noi di Neuberger Berman con numerosi portafogli obbligazionari di cui siamo responsabili, in base alla view di un “atterraggio morbido” dell’economia statunitense che abbiamo esposto nell’ultimo Fixed Income Quarterly Outlook.

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