Trade War Usa-Cina, i quattro possibili scenari secondo Pramerica SGR

Di Nathan Sheets, chief economist di PGIM Fixed Income, gestore delegato di Pramerica SGR

In un contesto in cui le negoziazioni tra Stati Uniti e Cina sembrano andare nella giusta direzione, può essere comunque utile prendere in considerazione tutti i possibili sviluppi della guerra commerciale tra i due Paesi. Quali gli aspetti che modellano il ventaglio delle possibili scelte di Trump? Quali i possibili esiti nell’anno in corso? Quali, ancora, le conseguenze sui mercati?

La buona notizia è che lo scenario più probabile, dal nostro punto di vista, è quello di un eventuale accordo, più verosimilmente nel secondo semestre dell’anno. Fino ad allora, con Pechino da un lato impegnata a fronteggiare problematiche di natura economica, e con, dall’altro lato, l’amministrazione Trump impegnata a dare supporto al mercato interno, a entrambe le parti conviene adottare un tono distensivo.

Nonostante ciò, dal nostro punto di vista, vi sono anche due possibili scenari di ribasso, seppur meno probabili. Il primo passa attraverso la possibilità che il presidente americano perda la pazienza in tema di negoziazioni ritenendo l’economia a stelle e strisce sufficientemente forte per sopportare un’altra tornata di stress e decida dunque per un nuovo rialzo ex ante dei dazi nei confronti della Cina. Il secondo scenario di ribasso parte dal presupposto che l’amministrazione Trump si concentri sul settore auto e riveda al rialzo i dazi di settore come ulteriore fronte su cui combattere la guerra commerciale. Entrambe queste ultime ipotesi potrebbero impattare in maniera significativa tanto i mercati quanto l’economia.

I quattro possibili scenari di evoluzione della guerra commerciale tra USA e Cina nel corso dell’anno potrebbero essere:

“De-escalation”

Accordo raggiunto in primavera. Per raggiungere un’intesa in tempi così rapidi, le negoziazioni avrebbero bisogno di acquisire consistenza rapidamente, elemento possibile data la motivazione di entrambe le parti a raggiungere un accordo. La Cina desidera infatti eliminare le incertezze legate ai conflitti commerciali, e l’obiettivo dell’amministrazione Trump è di andare alla ricerca di buone notizie in ambito economico per dare sostegno ai prezzi azionari e alla fiducia dei consumatori. Data l’ampiezza del ventaglio delle questioni sul piatto, tuttavia, riteniamo che il percorso delle negoziazioni sia lungo. È poco probabile che gli USA dicano di sì a un accordo limitato che preveda esclusivamente una promessa da parte di Pechino ad acquistare quantità maggiori di gas naturale liquefatto e prodotti agricoli. In ogni caso, nutriamo più di un dubbio sull’intenzione di Trump di rinunciare così rapidamente al potere contrattuale offerto dai dazi.

“Soft De-escalation”

Accordo raggiunto in estate, o più probabilmente, in autunno. Le due parti continuano la fase di negoziazione per buona parte dell’anno, con sia gli Stati Uniti che la Cina pronti a dare la responsabilità della lunghezza delle discussioni alla complessità delle questioni sottostanti, soprattutto alla luce delle problematiche relative all’applicazione pratica degli accordi. Il tono delle discussioni è in linea generale costruttivo, seppur in presenza di occasionali minacce da parte della Casa Bianca (di conseguenza i mercati possono tranquillizzarsi sempre). Un accordo che includa anche passi in avanti in termini di bilancia commerciale, proprietà intellettuale e poche altre tematiche. Ad esempio, gli Stati Uniti si impegnano in anticipo a non apporre ulteriori dazi nei confronti della Cina con la promessa di ammorbidire i dazi esistenti nei successivi 12 mesi man mano che la Cina amplierà l’accordo. Nel complesso è questo lo scenario che, dal nostro punto di vista, bilancia meglio le considerazioni precedenti.

Rallentamento

Le negoziazioni vanno avanti durante l’anno, senza giungere a una conclusione. In assenza di un chiaro indirizzo politico, le amministrazioni coinvolte potrebbero perdere interesse sul tema, focalizzandosi più su tematiche di altra natura, le negoziazioni potrebbero non arrivare a conclusione. Uno scenario di questo genere potrebbe fornire a entrambe le parti il tempo necessario per riflettere sulla migliore soluzione in merito a questa spinosa questione, aspetto che potrebbe gettare le basi per un accordo migliore. D’altro canto, le negoziazioni arriveranno inevitabilmente a un punto in cui sarà necessario prendere decisioni complesse, richiedendo di fatto un indirizzo politico. Dal nostro punto di vista, un esito di questo tipo non è probabile; infatti, durante i primi due anni di mandato, Trump è più volte tornato sul tema dei dazi e la Cina è al centro dell’agenda di politica estera degli Stati Uniti.

Escalation

Le negoziazioni naufragano e gli Stati Uniti ampliano i dazi nei confronti di Pechino. È ormai noto quanto sia difficile prevedere le mosse di Trump in materia di dazi e le sorprese sono dietro l’angolo. Di conseguenza, con una performance dei mercati (di recente) in miglioramento, l’amministrazione USA potrebbe vedere lo spazio per un rinnovato confronto. Inoltre, fino alle elezioni di novembre 2020, c’è ancora tempo di attraversare un altro ciclo di intensificazione dei negoziati. Alternativamente, l’offerta della Cina potrebbe deludere le attese di Trump, aspetto che potrebbe portare il presidente USA ad applicare un ulteriore round di dazi. Se così fosse, crediamo che i rischi per l’economia statunitense e per i mercati, compresi quelli di un ulteriore effetto negativo sulla crescita cinese, rendano un approccio di tal tipo relativamente poco attraente per la Casa Bianca.

A prescindere da questi quattro possibili scenari, esiste comunque una possibilità che, anche in caso di un accordo con la Cina, Trump utilizzi lo stesso atteggiamento protezionistico con altri Paesi.

Nel complesso, crediamo che la guerra commerciale possa arrivare a una conclusione nel corso dei prossimi 12 mesi. Per quanto non si tratterà di un percorso privo di ostacoli, è probabile che ogni passo avanti in quest’ambito rappresenterà un elemento positivo per i mercati e per gli asset di rischio.

Dato che ci muoviamo verso le elezioni del 2020, riteniamo che Trump presterà sempre più attenzione a giocare un ruolo di supporto per i mercati finanziari e per l’economia più in generale man mano che ci si avvicina alla scadenza del mandato. Anche in questo caso vediamo comunque alcuni rischi. In primo luogo, riconosciamo che Trump potrebbe sorprenderci incrementando i dazi contro la Cina oppure aprendo un dibattito sul settore automobilistico. Entrambi gli interventi potrebbero esercitare un effetto negativo creando potenzialmente un’importante ventata di avversione al rischio tanto negli Stati Uniti quanto sui mercati globali. In secondo luogo, è probabile che nessun tipo di accordo con la Cina sia in grado di dissipare completamente i timori relativi alle modalità di sviluppo da parte di Pechino. Di conseguenza, in caso di rielezione, Trump potrebbe tornare alla carica con una seconda ondata di tensioni commerciali nel corso del 2021 o del 2022, facendo pressione per ulteriori concessioni. In terzo luogo, con gli Stati Uniti che hanno già ampiamente dispiegato i propri strumenti in materia di politiche commerciali, è probabile che altri Paesi facciano altrettanto. Ciò non significa che ci aspettiamo un’ondata di protezionismo su scala globale, ma potrebbero verificarsi nuovi episodi di atteggiamenti aggressivi in termini commerciali nei prossimi anni. Ciò, a sua volta, potrebbe minare l’apertura e l’integrazione che hanno caratterizzato l’economia globale degli ultimi decenni.

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