Etf, quali i costi reali?

A cura di Morningstar

Gli Exchange traded fund (Etf) sono diventati lo strumento finanziario preferito da un numero crescente di investitori, sia istituzionali che privati. Trasparenza, facilità di scambio, efficienza fiscale e bassi costi sono le caratteristiche dietro a questo successo. Le commissioni, in particolare, costituiscono un input fondamentale nel processo di selezione effettuato dagli investitori. Ma quando si tratta di scegliere un Etf, in particolare quando si analizzano replicanti che tracciano lo stesso benchmark o quasi, è importante guardare oltre le commissioni dichiarate (indicate spesso con il termine Ter, Total expense ratio) e adottare un approccio più olistico per valutare il costo totale.

Il costo totale di un Etf può essere approssimativamente suddiviso in due parti

Costi di proprietà (holding costs, in inglese) e costi di transazione.

L’importanza relativa delle due componenti varierà in funzione dell’orizzonte temporale dell’investitore e della somma di denaro da investire. I costi di proprietà comprendono le commissioni e una varietà di altri fattori che influiscono sul rendimento relativo al benchmark replicato. I costi di transazione comprendono commissioni e spread bid/ask.

In generale, gli holding costs rappresenteranno la componente più importante del costo totale per gli investitori a lungo termine, poiché sono per definizione sostenuti durante tutto il periodo di detenzione. I costi di transazione saranno invece più importanti per gli investitori che hanno orizzonti temporali più brevi, in particolare nei casi in cui stanno investendo ingenti somme di denaro.

Ben Johnson, responsabile della ricerca Etf di Morningstar, ha stilato una lista con l’obiettivo di individuare le componenti principali del costo totale di un Etf.

Costi di proprietà (holding costs)

Le commissioni sono in genere la componente più importante dei costi di proprietà. Sono anche la parte più stabile e facilmente reperibile per gli investitori. Ma ci sono anche costi impliciti da considerare, che derivano da una varietà di fattori. Eccoli elencati di seguito.

Campionamento (sampling)

Alcuni Etf, in particolar modo quelli che replicano indici che contengono titoli poco liquidi e di piccola taglia, optano per una replica a campione. In pratica, il fondo acquista un insieme di titoli scelti in modo da creare un portafoglio sufficientemente simile a quello del benchmark ma con un numero di componenti inferiore (di solito i più liquidi), in modo da ottimizzare la liquidità e i costi di transazione. Nonostante la replica a campione presenti alcuni ovvi vantaggi, essa crea una fonte potenziale di tracking difference, poiché il fondo si allontana dall’andamento del proprio benchmark.

Rotazione di portafoglio dell’indice (index turnover)

I costi legati al turnover dell’indice riflettono un’altra potenziale fonte di tracking difference. Fallimenti, fusioni e acquisizioni sono alcune delle cause più comuni di cambiamenti nel portafoglio di un indice standard ponderato in base alla capitalizzazione di mercato. I costi legati al riallineamento dell’Etf per riflettere questi cambiamenti potrebbero far scostare la performance tra fondo e indice.

Trattamento dei dividendi

Le tempistiche e il trattamento fiscale dei dividendi sono un’altra fonte potenziale di scostamento tra il rendimento dell’Etf e del benchmark replicato. Nella maggior parte dei casi, infatti, gli Etf che pagano i dividendi, non reinvestendo i proventi dei titoli nel fondo stesso, mantengono tali guadagni sotto forma di liquidità fino alla data di stacco prevista. Questa pratica (chiamata cash drag o dividend drag) può potenzialmente creare una differenza negativa tra la performance del replicante e quella dell’indice, durante le fasi di mercato rialzista, visto che i dividendi non vengono reinvestiti nel fondo. Vale però anche il contrario. Detto ciò, in molti casi gli emittenti di Etf possono utilizzare tale liquidità investendo in contratti futures per mantenere un’esposizione al mercato e assicurarsi quindi una replica rigorosa. Non tutti i fondi, però, possono impiegare questa tecnica.

Da non sottovalutare poi il diverso trattamento fiscale riservato agli Etf a distribuzione di cedole. La distribuzione del dividendo comporta infatti una doppia tassazione dell’investimento, una sull’apprezzamento dello strumento e un’altra sulla distribuzione dei dividendi senza avere la possibilità di compensazione tra le due. Tutto questo si ritorce contro l’investitore in una situazione in cui l’Etf è in minusvalenza ma stacca lo stesso delle cedole. Ad esempio, nel caso di vendita di un fondo in perdita, non si può compensare la minusvalenza con i guadagni percepiti sotto forma di dividendi.

Prestito titoli (securities lending)

Il prestito di titoli può essere invece una fonte di entrate per gli Etf, che in questo caso possono compensare in varia misura i costi che devono affrontare. Il grado in cui questa attività incide dipende da una varietà di fattori. Ad esempio, i fondi small cap generano generalmente maggiori entrate legate al prestito titoli, dato che c’è una maggiore domanda da parte dei venditori allo scoperto per prendere a prestito titoli a bassa capitalizzazione.

Tracking difference Vs Tracking error

Tutte le voci sopra elencate concorrono a formare la differenza tra performance dell’Etf e performance dell’indice replicato. La più intuitiva è la tracking difference, ossia la mera differenza tra le due voci. Un’altra misura spesso utilizzata per analizzare il comportamento di un Etf è il tracking error, il quale misura la deviazione standard della differenza tra le due performance nel tempo.

Costi di transazione (trading costs)

Mentre i costi di proprietà sono più o meno fissi e legati al fatto di possedere quote di un Etf, i costi di transazione vengono sostenuti solo quando si effettua un’operazione di acquisto o di vendita. Una delle voci più esplicite di questi costi è rappresentata dalle commissioni da pagare ai broker per effettuare operazioni di trading. Ormai, a dire il vero, non sono poche le piattaforme di trading che permettono di effettuare operazioni a costi bassissimi o anche nulli.

C’è poi da considerare lo spread bid/ask, conosciuto anche come prezzo denaro/lettera, cioè la differenza tra il miglior prezzo di acquisto e il miglior prezzo di vendita di un titolo (o di una quota di un fondo) offerti dai market maker presenti sul mercato e che fanno poi incontrare domanda e offerta. Tale differenza rappresenta la loro remunerazione.

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