Italia: ansia, procrastinazione e Pil

A cura di Matteo Ramenghi, Cio di Ubs WM Italia

In psicologia si definisce procrastinazione il ritardare volontariamente un’azione nonostante prevedibili conseguenze negative. Ansia e procrastinazione vanno spesso a braccetto: quando si è spaventati si tende a rimandare ciò che si vorrebbe fare; ci si trova quindi immobilizzati e meno capaci di reagire.

L’ansia dovuta all’aumento dello spread e allo scontro tra il governo M5S-Lega e la Commissione europea è stato un fattore determinante per la frenata degli investimenti da parte delle aziende italiane alla fine dello scorso anno, che ha peggiorato le condizioni economiche contribuendo a far scivolare l’Italia in una recessione tecnica.

Intendiamoci: parte del rallentamento economico è stato causato da fattori esterni, analogamente ad altri Paesi dell’area dell’euro, quali l’impasse del settore automobilistico, una ripresa dei prezzi del petrolio e una domanda estera debole. L’economia italiana ha però sofferto molto più delle altre.

La buona notizia è che, man mano che il deficit veniva ridotto fino al 2% del PIL e lo scontro tra il governo M5S-Lega e la Commissione europea si stemperava, lo spread si riduceva (almeno parzialmente). Ma non è affatto escluso che nella seconda parte dell’anno questa discussione si possa ripetere, perché la debolezza del PIL potrebbe richiedere maggiori sforzi di natura fiscale.

Evitare l’aumento dell’IVA il prossimo anno potrebbe rivelarsi complesso in assenza di una marcata ripresa

In ogni caso, la parziale retromarcia del governo è stata vista positivamente dai mercati e gli investitori esteri ritengono che il rischio italiano si sia ridotto rispetto alla seconda parte dello scorso anno. Lo scontro ha avuto, tuttavia, un costo molto elevato. Prima di tutto, l’Italia si trova a pagare tassi d’interesse che sono ormai oltre il doppio di quelli spagnoli e a metà strada rispetto a quelli greci. Molte aziende riferiscono di aver deciso di rimandare investimenti in nuova capacità produttiva in attesa di schiarite sul fronte politico, mentre anche sulle infrastrutture ci si muove con passo incerto.

Il risultato è che il recupero degli investimenti fissi lordi cominciato nel 2014 si è arenato, lasciando l’Italia tra i pochissimi Paesi a non aver ancora raggiunto i livelli pre-2008. Occorre considerare che gli investimenti non costituiscono solo un motore di crescita per il futuro: la loro realizzazione rappresenta oltre un sesto del PIL attuale.

La mancanza di fiducia delle imprese sulla situazione politica o un quadro non chiaro sullo sviluppo infrastrutturale possono, quindi, rallentare l’economia

Speriamo in un rimbalzo nella seconda parte di quest’anno. La ripresa della domanda estera, il calo del prezzo del petrolio e una stabilizzazione degli investimenti dovrebbero dare supporto al PIL. Per il 2020 stimiamo una crescita dello 0,9%, rispetto allo 0,4% atteso per quest’anno. Molto dipenderà, comunque, dalla fiducia delle imprese. Riconquistarla è un requisito indispensabile per una ripresa sostenibile.

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