Fixed income: più in alto non si va

A cura di Chris Iggo, CIO Obbligazionario, Axa Investment Managers

La Federal Reserve mantiene i tassi invariati. Secondo il mercato, il ciclo di rialzi è terminato e il prossimo intervento della banca centrale americana potrebbe essere un taglio dei tassi. Per il momento si delinea uno scenario rialzista. Il rischio di tasso è diminuito molto e ciò dovrebbe spingere gli investitori obbligazionari a preoccuparsi meno per la duration in portafoglio. Si tratta di un fattore positivo anche per il credito, considerato che l’anno scorso, quando la Federal Reserve alzava i tassi ogni tre mesi, gli spread si sono ampliati e il credito ha riportato performance negative.

Tuttavia, non ci vorrà molto tempo prima che gli investitori obbligazionari come noi inizino a preoccuparsi di nuovo per il livello delle valutazioni. Per il momento dovrebbe però rassicurarci lo scenario attuale, caratterizzato da tassi bassi e stabili e da una crescita economica ancora positiva. Persistono dei rischi per la crescita ma i rischi di recessione restano contenuti. Si volta pagina, le obbligazioni sono tornate.

Avanti piano

Fondamentalmente ci sono tre fattori principali che influiscono sui rendimenti obbligazionari. Uno è il “carry”, il rendimento che deriva dal pagamento regolare delle cedole. Il secondo è l’impatto sul prezzo delle obbligazioni, legato alle variazioni dei tassi di interesse, e il terzo è l’effetto delle variazioni nel rischio di credito sul prezzo delle obbligazioni. Questa settimana la Federal Reserve ha confermato che la probabilità di nuovi rialzi dei tassi negli Stati Uniti sono praticamente nulle.

Per il momento, il ciclo dei tassi di interesse sembra definitivamente chiuso. Almeno questa è l’interpretazione del mercato. Il mercato dei tassi ora prevede, come prossima mossa della banca centrale, un taglio dei tassi di interesse. Gli investitori hanno dunque il via libera per assumere il rischio di duration, laddove viene remunerato. A livello globale i tassi di interesse restano bassi a lungo, e ciò sostanzialmente riflette il fatto che l’inflazione è bassa in tutto il mondo.

Per quanto riguarda le prospettive del credito, i mercati del credito dovrebbero continuare a riportare performance positive nel breve termine finché lo scenario economico globale non si deteriorerà ancora. La sovraperformance degli indici di credito rispetto ai titoli di Stato finora nel 2019 è stata molto positiva e, a fronte di fattori tecnici molto robusti che sostengono il credito (domanda elevata con un’offerta netta limitata), questa performance positiva potrebbe continuare a favorire gli investitori obbligazionari quest’anno.

Costose, ma per una ragione

La domanda dunque è se le obbligazioni offrano un buon valore a questi livelli. È sempre una domanda a cui è difficile dare risposta. Io mi chiederei se il rendimento potenziale del reddito fisso oggi è sufficiente a compensare i rischi percepiti. Io credo che il rischio per il capitale derivante da un aumento dei tassi di interesse in questo momento sia molto più basso, i rischi di insolvenza non sono variati molto e le prospettive economiche globali non sono così deboli da spingere i premi per il rischio di credito al rialzo. Inoltre, credo che l’andamento dei mercati potrebbe rendere le obbligazioni ancora più costose prima che cambi qualcosa. Come abbiamo già detto, la tendenza della domanda e dell’offerta in molti Paesi rappresenta un fattore positivo in questo senso. È realistico concludere che il livello degli spread di credito in molti mercati possa ritornare sui livelli del primo semestre del 2018. Questo significa un potenziale restringimento degli spread di 15-20 punti base nei mercati del credito investment grade e di 50-75 punti base nei mercati high yield. L’indice sulle obbligazioni dei mercati emergenti in valuta forte che seguo, il JP Morgan Global Diversified Index, forse ha anticipato la situazione. Il debito dei mercati emergenti ha iniziato a recuperare prima dei mercati del credito dei Paesi sviluppati, ma è possibile un nuovo restringimento dagli attuali 340 p.b. a 300 p.b. circa.

La Federal Reserve potrebbe cambiare orientamento?

Il rischio per questa visione rialzista sui rendimenti obbligazionari dipende principalmente da un cambiamento nell’approccio della banca centrale americana. Tuttavia è piuttosto difficile che la Federal Reserve cambi idea, pertanto c’è valore nella “Fed put”. L’inflazione dovrebbe risalire. Anche in tal caso, tra i circoli della politica monetaria, c’è chi ritiene che sia tollerabile (se non auspicabile) un periodo di inflazione oltre il target. Appare alquanto improbabile in questo momento che le aspettative inflazionistiche improvvisamente si impennino e oggi, se si pensa a un possibile errore di politica monetaria, preoccupa di più un’eventuale stretta eccessiva da parte della Federal Reserve che un allentamento. C’è comunque la possibilità che l’economia americana continui alla massima capacità, con un aumento dell’occupazione e dei salari. Queste dinamiche potrebbero invertire la recente direzione degli yield obbligazionari e portare a un moderato aumento dei tassi di breakeven per il segmento indicizzato all’inflazione. Negli ultimi anni, diversi economisti avevano previsto un aumento dell’inflazione e dei tassi di interesse ma generalmente non hanno avuto ragione, oppure l’hanno avuta solo per un breve periodo di tempo.

Non mi stancherò mai di ripetere che uno degli strumenti che hanno riportato le migliori performance nel 2018 sono i Bund trentennali, che hanno iniziato l’anno con uno yield-to- maturity dell’1,3% per produrre un rendimento complessivo vicino al 10%. I fondi obbligazionari diversificati a gestione attiva, che sono in grado di coprire il rischio di credito e di interesse e che privilegiano gli strumenti con le migliori performance, possono offrire un rendimento complessivo superiore allo yield. In una realtà caratterizzata da bassi tassi di interesse, molto dipende dalla sensibilità dell’obbligazione alle variazioni delle prospettive dei tassi e del credito.

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