Si fa presto a dire Esg…

Gli investimenti sostenibili e responsabili, ossia che incorporano i fattori ambientali, sociali e di buon governo (“Environmental”, “Social” and “Governance”, o “ESG”), sono in rapida espansione. Per i risparmiatori privati investire secondo questi criteri spesso significa fare delle scelte coerenti non solo con i propri obiettivi di rendimento e di rischio, ma anche con i propri valori e le proprie convinzioni morali. Ecco nel dettaglio la view di Anna Gamba, CFA,Board Member di CFA Society Italy.

Se l’aumento di attenzione verso questo tipo di investimenti è sicuramente un fatto positivo, bisogna però fare attenzione, nella scelta di fondi o prodotti denominati “ESG” a che lo siano veramente, e non siano solo utilizzati come strumento di marketing, ossia cercando di far sembrare “ESG” ciò che, ad un’analisi un po’ più approfondita, in realtà non lo è.

A tale proposito, si sottolinea che uno dei punti su cui si sta attualmente focalizzando la Commissione Europea, è proprio quello della Tassonomia, ossia creare un “linguaggio comune e condiviso” e un sistema di definizioni e classificazioni di prodotti e servizi in modo che sia più chiaro che cosa si possa definire come “sostenibile” e cosa no.

La strategia di “integrazione ESG” sta riscontrando un interesse man mano crescente, come pure gli approcci di tipo “factor investing”, in cui i fattori ESG sono individuati come determinanti del rendimento. All’interno del ESG, la E di Environment sta acquisendo sempre maggiore importanza. Fino ad oggi si è fatto troppo poco per mitigare i cambiamenti climatici e quindi è corretto e sensato che anche il mondo della Finanza si occupi di questi temi.

CFA Society Italy, a fine del 2018, ha pubblicato una “Guida agli investimenti ESG”, in cui, con la collaborazione di una decina di professionisti del settore, si è cercato di dare una panoramica di che cosa siano questo tipo di investimenti, come si sono evoluti nel tempo e come stanno crescendo attualmente, di quali siano le metriche di performance utilizzate, di come sia possibile integrare questi fattori nel value investing, di quanto sia utili pubblicare informazioni non finanziarie e quanto sia importante la governance anche per le piccole imprese italiane, che cosa sia il report di impatto, cosa si intende per gestione del rischi ESG e per Engagement.

L’associazione CFA institute (associazione no profit che riunisce oltre a 150.000 professionisti degli investimenti a livello globale e che promuove i migliori standard a livello di eticità e professionalità negli investimenti e l’educazione finanziaria continua) ha pubblicato moltissimi report, sondaggi ed articoli sul tema.

Fra questi, due report fatti in collaborazione con il PRI (Principle for Responsible Investment, iniziativa supportata dalle Nazioni Unite) sul tema della ESG Integration: un report del 2018, dal titolo “Guidance and case studies for ESG Integration: Equities and Fixed Income”, (in cui, con la collaborazione di molti gestori di portafogli e di fondi ed analisti finanziari si sono raccolte e condivise le “best practice” utilizzate nell’integrare i fattori ESG nel processo di investimento, in modo che i professionisti del settore possano meglio comprendere questi temi e prendere utili spunti per migliorare il loro metodo di lavoro) e un report del 2019 “ESG Integration in Europe, the Middle East and Africa: Markets , Practices and data”, che fotografa l’attuale “stato dell’arte in queste regioni.

La cosidetta “ESG integration” può venire fatta a tre livelli:

  • a livello di ricerca, nell’analisi qualitativa (con questionari mandati alle società, indicatori di rischi ESG, watch list che premiano le società con profili ESG migliori) e nell’azionariato attivo (tramite l’Engagement con le società e il processo di Voting)
  • a livello del singolo titolo, sia per le azioni che per le obbligazioni, facendo opportuni aggiustamenti nelle stime dei modelli , nelle variabili utilizzate, nei multipli o nei ratios , o negli scenari, per tenere in considerazione i fattori ESG
  • a livello di portafoglio, è importante, nel risk managemt, tenere conto anche dei rischi ESG; fare opportuni aggiustamenti nella costruzione dei portafogli e nell’asset allocation per mitigare i rischi ESG, migliorare la performance finanziaria, stabilire un determinato profilo ERSG rispetto al proprio benchmark di riferimento etc…

Il grafico qui sotto riportato evidenzia, più nel dettaglio, come la ESG integration possa possa estrinsecarsi, ad ognuno di questi tre livelli.

Inoltre, dai questionari e sondaggi fatti presso i vari professionisti nella regione EMEA (Europe, the Middle East and Africa), sono emerse queste evidenze:

  • Non c’è un unico modo per integrare i fattori ESG, bensì molteplici;
  • la Governannce è quello fra i 3 fattori ESG che è già integrato dalla maggioranza degli investitori
  • i fattori Environmental e Social stanno guadagnando attenzione, ma partono da livelli di integrazione molto più bassi
  • per ora l’integrazione dei criteri ESG è fatto più in maniera qualitativa (tenendone conto nel processo di investimento) che quantitativa (ossia proprio facendo modifiche nei modelli quantitativi)

I driver principali della ESG integration derivano dalla domanda finale e dal Risk management:

  • le maggiori barriere all’integrazione ESG sono una limitata comprensione delle problematiche ESG e la scarsità di dati significativi e facilmente comparabili
  • arrivare a definire degli Standard comuni nella produzione e diffusione dei dati sarebbe di grande utilità
  • molti investitori che hanno partecipato alla stesura di questi report sono preoccupati che vari fondi e prodotti siano presentati agli investitori come “ESG” per motivi di marketing, ma che in realtà non lo siano veramente.

La seguente tabella (disponibile a pag. 19 del report) evidenzia i vari impatti che, ad oggi, i fattori G, E, ed S si reputa abbiano sui prezzi delle azioni dei rendimenti delle obbligazioni corporate e nei rendimenti delle obbligazioni governative.

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