A prova di conflitto. Servono interventi organizzativi per la MiFID

Prima del recepimento della Direttiva Mi- FID la disciplina del conflitto di interessi si basava soprattutto sulla disclosure e richiedeva agli intermediari di informare preventivamente i clienti per iscritto in ordine alla natura e all’estensione dell’interesse in conflitto riferibile alla singola operazione da effettuarsi per loro conto; in assenza di tale informativa e dell’autorizzazione espressa (per iscritto) dell’investitore ad agire in conflitto di interesse gli intermediari non potevano porre in essere l’operazione.

Tra le situazioni che potevano generare conflitti e che dovevano pertanto essere rappresentate al cliente l’art. 27 del regolamento Consob n. 11522 indicava “i rapporti di gruppo, la prestazione congiunta di più servizi, altri rapporti d’affari propri e di società del gruppo”; è da ritenere tuttavia che gli obblighi informativi (e la necessità di ottenere l’autorizzazione dall’investitore) si applicassero anche a situazioni conflittuali diverse da quelle indicate in via esemplificativa dall’art. 27. Per evitare possibili contestazioni da parte delle Autorità di vigilanza e degli investitori in merito alla corretta applicazione della norma, in alcuni casi soggetti abilitati sono stati indotti a rispettare il principio di disclosure secondo criteri prudenziali rappresentando ipotesi conflittuali che di fatto non risultavano tali (o comunque non significative); l’eccesso di informativa non solo si è rivelata spesso inutile ma ha generato effetti discorsivi impedendo ai clienti di prestare la giusta attenzione alle situazioni conflittuali maggiormente rischiose.

Le nuove disposizioni normative e regolamentari prevedono ora che gli intermediari devono adottare ogni misura ragionevole per identificare i conflitti di interessi che possono insorgere con il cliente o tra i clienti e sono tenuti a gestirli adottando idonee procedure organizzative al fine di evitare che i conflitti incidano negativamente sugli interessi dei clienti; solo quando tali misure e procedure non siano sufficienti ad evitare che il rischio di nuocere agli interessi dei clienti sia evitato, occorre informare chiaramente i clienti, prima di agire per loro conto, in merito alla natura e alle fonti della situazione conflittuale affinché gli stessi possano assumere una decisione informata. In base all’impostazione della nuova disciplina comunitaria del conflitto di interessi assumono pertanto primaria importanza le soluzioni organizzative adottate dagli intermediari per eliminare o attenuare i rischi connessi a tali conflitti, mentre gli obblighi di disclosure rappresentano una soluzione residuale che si rende necessaria soltanto qualora dette misure organizzative non garantiscano una adeguata tutela degli interessi degli investitori. Al riguardo è significativo il contenuto del considerando n. 27 della Direttiva 2006/73/CE secondo cui “la comunicazione dei conflitti di interesse da parte di un’impresa di investimento non deve esentarla dall’obbligo di mantenere e applicare le disposizioni organizzative e amministrative di cui all’art. 13, paragrafo 3, della Direttiva 2004/39/CE”. Lo stesso considerando aggiunge inoltre che non è consentito agli intermediari un eccessivo affidamento sulla comunicazione volta a rappresentare ai clienti i conflitti di interesse specifici “senza un’adeguata considerazione di come tali conflitti possano essere adeguatamente gestiti”.

Non è consentito all’intermediario utilizzare la disclosure in sostituzione o in alternativa al dovere di organizzarsi adeguatamente e, pertanto, in assenza di idonei presidi organizzativi, la disclosure non può esonerare l’intermediario da responsabilità per aver operato in situazioni di conflitto di interessi; responsabilità che possono comportare sanzioni da parte delle Autorità di vigilanza e richieste risarcitorie da parte degli investitori.

Le nuove regole richiedono agli intermediari un maggior impegno nella gestione dei conflitti di interessi che si sostanzia nell’adozione di procedure interne il cui grado di complessità, in applicazione del principio di proporzionalità, è correlato alla natura dei servizi svolti e alle proprie dimensioni.


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