La guerra commerciale manderà gli Stati Uniti in recessione?

Le proroghe temporanee concesse dal Dipartimento del Commercio Usa alle aziende americane che possono così continuare a vendere i loro beni e servizi a Huawei mostrano chiaramente che le tensioni stanno oltrepassando i confini della cosiddetta guerra commerciale.

Gli investitori tornano ad acquistare perché incorporano delle attese positive sul fatto che si troverà un’intesa, o almeno così sembra a giudicare dalla relativa stabilità espressa dal mercato azionario – commenta Peter Rosenstreich, Head of Market Strategy di Swissquote – Le recenti azioni aggressive sia da parte degli Usa che della Cina per aumentare le tariffe sui rispettivi beni e servizi hanno lasciato decorrere infruttuosamente i termini per un accordo commerciale e, a nostro parere, hanno aumentato le probabilità di tensioni ancora maggiori e di un conseguente fallimento”.

Il mercato è stato ancora una volta spiazzato da questa escalation fulminea, con la volatilità che da inizio maggio ha ripreso a salire. “Il Presidente cinese Xi Jinping potrebbe aver voluto mostrare una possibile ritorsione facendo visita, nella provincia dello Jiangxi, ad un sito specializzato nell’estrazione di metalli delle terre rare – continua Rosenstreich – La Cina estrae circa l’80% di tale materia prima, che è fondamentale nella produzione di strumentazioni hi-tech e le scorte statunitensi non riuscirebbero a far fronte ad un embargo protratto di tale risorse”.

Il rallentamento delle trattative in corso ha aumentato le probabilità che gli Stati Uniti possano entrare in recessione tra la fine del 2019 e l’inizio del prossimo anno. “In circostanze ordinarie non ci spingeremmo a pronosticare un calo del Pil americano ma questo screzio con la Cina potrebbe effettivamente fungere da detonatore – prosegue l’esperto di Swissquote – L’economia americana infatti sta continuando un’espansione che non ha pari nella storia e questo fatto rende naturalmente tutti gli investitori particolarmente guardinghi circa quello che potrebbe rappresentare il punto di svolta”.

L’inversione della curva dei rendimenti a marzo rappresenta un indicatore affidabile circa il prossimo scenario in quanto negli ultimi 60 anni ha anticipato un rallentamento economico nell’economia a stelle e strisce. “Anche se in molti argomentano che questa volta sarà diverso, già l’introduzione di un protezionismo estremo accenna ad una correzione economica nel medio termine – continua Rosenstreich – Gli economisti stimano che le tariffe potrebbero incrementare l’inflazione Usa dallo 0,1 allo 0,4%, in linea con quanto affermato anche dal Presidente della Fed Powell che ha recentemente dichiarato che gli attuali livelli di bassa inflazione potrebbero essere temporanei considerando il basso tassi di disoccupazione”.

Se a ciò aggiungiamo l’effetto potenzialmente inflattivo derivante dai dazi, ce n’è abbastanza perché la Fed modifichi il suo linguaggio e, considerando l’allergia del mercato al solo sentir nominare una possibile restrizione sul costo del denaro, il solo discuterne potrebbe innescare una reazione economica negativa. “Il mercato obbligazionario sta prezzando al 60% la possibilità che la Fed possa tagliare i tassi nel 2019, che non sembra inverosimile considerando le invettive via Twitter del Presidente Trump” conclude Rosenstreich.

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