Debito governativo al test di sostenibilità: Italia, Usa, Giappone e Brasile mancano gli obiettivi

In un contesto di un’economia globalizzata che deve affrontare sfide importanti come il cambiamento climatico, la scarsità delle risorse naturali, la crescita del debito pubblico e la sfida demografica, gli Stati, in quanto attori principali dell’economia, hanno un ruolo chiave da svolgere. Tuttavia, a causa della crisi dell’euro, molti Paesi hanno perso il loro status di prenditori privi di rischio. Ciò ha dimostrato l’importanza di integrare i criteri di sostenibilità nelle decisioni di investimento in titoli di Stato: di fatto, il debito pubblico rimane uno strumento di investimento importante, che attualmente rappresenta quasi 58 trilioni di euro.

Degroof Petercam Asset Management, società di gestione del risparmio indipendente con circa 32 miliardi di euro in gestione e dal 2002 pioniere negli investimenti responsabili, ha aggiornato le sue classifiche di sostenibilità, basate su un processo di analisi proprietaria e pubblicate con cadenza semestrale dal 2007 per i Paesi Ocse e dal 2013 per quelli Emergenti. Lo scopo è definire l’universo di investimento dei fondi obbligazionari governativi SRI DPAM L Bonds Government Sustainable e DPAM L Bonds Emerging Markets Sustainable, dai quali vengono esclusi i Paesi che non eccellono dal punto di vista della sostenibilità.

Se da un lato l’analisi di sostenibilità è diffusamente applicata alle singole società, dall’altro il suo utilizzo per valutare quanto sia sostenibile il debito governativo è molto meno esteso. La metodologia proprietaria messa in campo da DPAM consente di migliorare il profilo rischio/rendimento delle scelte d’investimento, puntando a generare un “doppio alpha” dalla combinazione tra il contributo positivo dell’analisi di sostenibilità e la sovraperformance generata dalla gestione attiva” ha dichiarato Ophélie Mortier, Responsabile degli Investimenti Responsabili di Degroof Petercam Asset Management.

 

Paesi Ocse: Paesi del Nord Europa al comando

Guardando alla classifica dei Paesi Ocse, se da un lato trova conferma la posizione al vertice di Paesi come la Norvegia, la Svizzera, la Danimarca e la Svezia, dall’altro a risaltare è l’esclusione dall’universo investibile di nazioni come l’Italia, gli Stati Uniti e il Giappone, le cui performance in termini di sostenibilità sono risultate particolarmente modeste.

Negli ultimi 10 anni il Giappone (21esimo) è sempre rimasto al di fuori dell’universo investibile del fondo DPAM L Bonds Government Sustainable, perché nella metà inferiore della classifica di sostenibilità. Aldilà dei noti problemi demografici – un tasso di fertilità tra i più bassi a livello mondiale – i risultati registrati sono stati particolarmente deludenti anche per quanto riguarda la tutela dell’ambiente. In quanto Paese povero di risorse, le modalità con cui la domanda di energia viene soddisfatta sono molto importanti. Tokyo ha iniziato a sviluppare la produzione di energia nucleare a metà del XX secolo rendendola una delle sue priorità negli anni ’70. Nel 2010, questa fonte rappresentava oltre il 25% dell’energia elettrica prodotta e aveva l’obiettivo di raggiungere un livello pari al 40%. Ciò è stato fatto a scapito delle fonti rinnovabili, il cui utilizzo rimane limitato al 7% della produzione di energia elettrica. A titolo di paragone, in Danimarca le energie rinnovabili rappresentavano il 65% dell’elettricità totale prodotta nel 2015.

Per quanto riguarda l’Italia (30esima), il Paese è sempre stato nella metà inferiore della classifica di sostenibilità fin da quando è stata compilata e la situazione dal punto di vista della sostenibilità rimane preoccupante. L’ampia insoddisfazione della popolazione, dovuta a un’evoluzione demografica non sostenibile e a una crescente disuguaglianza sociale, non offre supporto alla stabilità economica e alla fiducia degli investitori. Inoltre, la situazione è grave per il basso punteggio nel pilastro dell’Educazione e Innovazione, perché mette a repentaglio la capacità delle prossime generazioni di invertire la tendenza.

 

Emergenti: l’assenza di democrazia interna lascia Cina, Russia e Arabia Saudita fuori dall’universo di investimento

Numerosi studi indicano come esista un chiaro collegamento tra il livello di democrazia di un paese e la sua sostenibilità. Alla luce di tale dato di fatto, come abitualmente succede, la classifica dei Paesi emergenti di DPAM ha escluso dall’universo investibile numerose nazioni, anche cruciali nell’economia mondiale, perché valutate come “non libere” (es. Cina, Russia, Arabia Saudita) da ONG specializzate e attendibili.

La modalità di assegnazione dei punteggi, simile a quella utilizzata per i Paesi OCSE, porta all’apice della classifica Repubblica Ceca, Singapore e Cile, che si dividono il podio. Oltre la vetta della classifica, l’evoluzione di alcuni paesi è anche rilevante, in particolare il caso del Brasile (53esimo), una delle nazioni più importanti.

Il Paese ha visto il suo posizionamento peggiorare rapidamente negli ultimi sei anni. Poiché si tratta di un Paese che rappresenta circa il 10% degli indici obbligazionari tradizionali relativi ai mercati Emergenti, questa situazione dovrebbe attirare l’interesse degli investitori. Il deterioramento della libertà civili e politiche è stato impressionante: se nel 2013 nella classifica di Freedom House il Brasile si attestava a 2 in termini di tutela dei diritti politici su una scala da 1 a 6 (con 1 il punteggio più alto), attualmente si attesta rispettivamente a 5 e 6 per quanto riguarda i diritti politici e le libertà civili. Dal punto di vista economico, il tasso di disoccupazione è raddoppiato (da 6,99% a 12,04%) negli ultimi cinque anni, con una particolare incidenza di quello relativo alle fasce più giovani di popolazione. Per quanto riguarda la tutela ambientale, infine, il paese non ha registrato significativi passi avanti: nel 2015, ad esempio, le energie rinnovabili hanno contribuito solamente per il 12% alla produzione complessiva di energia elettrica.

Le classifiche di sostenibilità di DPAM – Come funzionano

Le classifiche vengono elaborate analizzando oltre 60 indicatori per i Paesi OCSE e circa 60 indicatori per i Paesi emergenti e di frontiera, che vengono raggruppati in cinque pilastri: Trasparenza delle istituzioni e valori democratici; Tutela dell’ambiente; Popolazione, sanità e distribuzione della ricchezza; Istruzione, Ricerca & Sviluppo; Economia. Oltre a questi viene preso in considerazione anche un indicatore di tendenza, che tiene conto dei progressi attuati da ciascun Paese nel tempo in tema di sostenibilità, in modo da “premiare”, contemporaneamente, i Paesi che sono risultati più virtuosi e anche quelli che hanno compiuto ragguardevoli passi avanti.

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