Dopo la Bce, anche la Fed confermerà la necessità di flessibilità

A cura di Vincent Mivelaz, analista di Swissquote

Incertezze del trading, le pressioni di Trump per ridurre i tassi di interesse e un set di dati in peggioramento sembrerebbero tutti elementi che indicherebbero alla Fed come reagire. Anche l’interpretazione del mercato dovrebbe giocare un ruolo importante negli sviluppi futuri del dollaro. Continua il rally dei titoli di Stato Usa con i rendimenti ormai ai minimi degli ultimi dodici mesi su tutte le scadenze dato che le attese di un taglio dei tassi dei Fed Fund e le incertezze si amplificano. Sebbene non siano attesi riduzioni del costo del denaro nel corso della riunione di domani, le modifiche della forward guidance e i dot plot sono già stati largamente anticipati.

Pertanto, domani, la Fed dovrebbe ritornare ancora più accomodante con un cambiamento nel linguaggio utilizzato da “paziente” a “più flessibile”, preparandosi così la strada per un taglio dei tassi quest’anno e un secondo taglio nel 2020. Sia il Pil (2,10%) che l’inflazione (1,80%) potrebbero essere rivisti al ribasso in quanto dati economici in peggioramento stanno supportando questa tendenza, così come le spese per consumi personali (rimaste ad aprile sotto l’obiettivo 2%) e le attività manifatturiere si stanno avvicinando in territorio negativo come conseguenza dell’escalation sulla guerra commerciale contro la Cina.

Oltre a ciò, problemi più rilevanti e relativi alle continue interferenze di Trump negli affari della Fed costituiscono un enorme ostacolo per la banca centrale americana che fonda la sua credibilità agli occhi del mercato sulla preservazione della sua indipendenza al fine di assicurare credibilità ed evitare difficoltà di lungo termine, in particolare nell’assicurare stabilità all’economia e al dollaro. Certamente, un’escalation delle pressioni politiche potrebbe riversarsi negativamente sia sulla moneta che sullo stato di salute dell’economia USA.

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