Deprezzamento dello yuan, un’arma a doppio taglio

La valuta è uno dei principali strumenti di cui dispone il governo cinese per rispondere alla crescente pressione degli Stati Uniti. “Le misure dirette contro le aziende statunitensi in Cina potrebbero danneggiarle maggiormente in termini di tasso di disoccupazione e di stabilità sociale in un momento in cui l’economia è in fase di rallentamento e la concentrazione di potere avviata da Xi Jinping qualche anno fa è messa in discussione all’interno e all’esterno, come ad Hong Kong”. Ad affermarlo è Jean-Jacques Durand, Head of Emerging Debt Total Return di Edmond de Rothschild AM, che di seguito spiega nel dettaglio la propria view.

Si tratta tuttavia di un’arma a doppio taglio

In quanto può anche generare instabilità e accelerare la fuga di capitali in un momento in cui la Cina è passata da un’economia caratterizzata da un surplus delle partite correnti ad a un’economia in deficit su questo fronte. Dopo l’esperienza dell’estate 2015, quando una mossa simile aveva causato il caos sul mercato cinese e una massiccia fuga di capitali, le autorità hanno proceduto ad un giro di vite con differenti controlli e barriere amministrative volte a prevenire tali esiti. Solo il futuro ci dirà se saranno in grado di controllare tale trend nel lungo periodo, data l’assenza di una qualsiasi riforma reale dell’economia e di nuove regole in termini di politiche commerciali. Ed è proprio quest’ambito che rientra nelle richieste degli Stati Uniti.

Un punto chiave da tenere a mente è che tanto l’agenda di Washington quanto quella di Pechino sono guidate da considerazioni interne e da impulsi nazionalistici volti ad ottenere sostegno e a consolidare quote di potere. Ciò è tanto più evidente per quanto riguarda Pechino, laddove la strategia di “vittimizzazione” procede a pieno regime e sembra attecchire su una vasta fetta della popolazione. Questo non fa ben sperare per una risoluzione delle controversie nel breve periodo.

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