Asset allocation, cautela nonostante le banche centrali

Le classi di attivi più rischiose hanno conseguito questo mese risultati positivi sulla scia della speranza di una riapertura dei rubinetti della politica monetaria. Ma lo stimolo sarà più modesto di quanto
prevedono i mercati. Questa la sintesi del “Barometro” di agosto 2019 pubblicato da Pictet Asset Management. Di seguito l’analisi mensile a cura della Strategy Unit della società.

Asset allocation: il valore perfetto

I mercati azionari globali hanno raggiunto i livelli massimi di tutti i tempi: gli investitori hanno scommesso sul fatto che le banche centrali di tutto il mondo apriranno i rubinetti della politica monetaria per arrestare il rallentamento economico.

Tuttavia, non riteniamo che le condizioni economiche giustifichino l’intensità dello stimolo scontato dai mercati finanziari. Sebbene il recente deterioramento dei dati economici suggerisca che la crescita mondiale quest’anno si assesterà intorno al 2,2%, inferiore al suo potenziale, si tratta di un rallentamento che non garantisce un allentamento deciso della politica monetaria.

Per queste ragioni, rimaniamo cauti sulle azioni e abbiamo pertanto mantenuto la nostra posizione di sottopeso su tale classe di attivi. È difficile rimanere positivi anche sulle obbligazioni, in un momento in cui un importo record di 13.000 miliardi di dollari di debito globale presenta un rendimento negativo. Manteniamo il nostro sovrappeso sulla liquidità.

La nostra analisi del ciclo economico mostra che l’economia globale sta vivendo un rallentamento diffuso, con i settori industriali e manifatturieri sensibili alle esportazioni messi in particolar modo sotto pressione per via degli ostacoli al commercio globale.

Da nessuna parte come negli Stati Uniti appare evidente questa situazione. Detto ciò, la domanda dei consumatori è resiliente e i mercati del lavoro rimangono solidi. Prevediamo che la Fed statunitense opererà un leggero allentamento della politica monetaria dopo il taglio di 25 punti base di luglio, ma che si limiterà a una politica di garanzia più modesta di quanto stanno attualmente scontando i mercati finanziari.

Le aspettative del mercato per ulteriori 100 punti base di tagli dei tassi sono troppo aggressive.

La previsione per l’economia dell’eurozona è più rosea. Su base trimestrale, l’indicatore anticipatore della regione è cresciuto per quattro mesi di fila, grazie al miglioramento della produzione industriale in Francia e Italia, al sentiment dei consumatori migliore e a mercati del lavoro più solidi. Nei mercati emergenti, nel frattempo, l’economia cinese ha registrato la crescita più lenta degli ultimi 27 anni nel secondo trimestre, nonostante la tenuta relativamente buona del settore dei servizi. Ma nel complesso, la crescita del mondo emergente rimane relativamente in salute.

I nostri indicatori della liquidità suggeriscono di assumere una posizione cauta sugli attivi rischiosi. Secondo il nostro modello, l’attuale rapporto price-earnings (P/E) dell’indice S&P 500 implica che le banche centrali mondiali offriranno iniezioni di liquidità pari a 1800 miliardi di dollari quest’anno, un importo ben superiore alla media annua di 1200 miliardi di dollari dalla crisi finanziaria del 2008. Tale stimolo richiederebbe un allentamento monetario simultaneo negli Stati Uniti, nell’eurozona, in Giappone e in Cina – uno scenario a nostro avviso improbabile.

La liquidità in eccesso delle tre principali economie – che calcoliamo come la differenza tra il tasso di crescita dell’offerta di denaro e la crescita del Pil nominale – ha probabilmente raggiunto un massimo al livello attuale del 3,6% (si veda il grafico), il che dovrebbe spingere al ribasso i multipli di P/E nel breve termine.

Liquidità in eccesso G3 calcolata come aggregato monetario meno il valore della crescita della produzione industriale interna negli ultimi 6 mesi negli Stati Uniti, nell’eurozona e in Giappone.

Il nostro modello di analisi delle valutazioni indica che le azioni non sono né costose né convenienti a livello globale. A livello regionale, tuttavia, il mercato statunitense è ancora il più costoso, in quanto le azioni sono scambiate ad un premio del 30% rispetto alle azioni mondiali sulla base del P/E rettificato per la ciclicità. Per contro, le azioni giapponesi e britanniche rimangono convenienti rispetto a quelle globali.

Le obbligazioni, invece, continuano ad essere straordinariamente costose con rendimenti reali sul debito globale – usando l’indice JP Morgan Government Bond – in calo a un livello record minimo di -1%. Nell’ambito del reddito fisso, il debito emergente in valuta locale pare riservare un discreto valore, soprattutto in quanto le valute dei mercati emergenti sono sottovalutate rispetto al dollaro di circa il 25%.

I nostri indicatori tecnici suggeriscono che non è il momento per acquistare né le azioni, né le obbligazioni.

Curiosamente, il recente rally azionario è stato accompagnato da flussi molto modesti verso i fondi comuni azionari. Detto ciò, il posizionamento speculativo sulle azioni tra gli investitori professionali pare eccessivamente ottimistico, con posizioni nette dei gestori sui future S&P 500 a livelli elevati.

Settori azionari e regioni: il valore sta nei finanziari

Con l’economia mondiale in rallentamento e la crescita degli utili societari in deterioramento, continuiamo a privilegiare le aree del mercato azionario che scambiano a valutazioni che riteniamo eque o convenienti.

I finanziari rientrano in questa categoria. Le valutazioni sono interessanti: i titoli finanziari rientrano in quella manciata di classi di attivi che sono scambiate al di sotto del livello medio a 20 anni sia in base al rapporto price to book che al rapporto price to earnings.

Anche i segnali tecnici sono positivi, con il 72% dei titoli contenuti nell’indice MSCI World Financials scambiato al di sopra della media mobile a 200 giorni. Investire sui titoli finanziari pare sensato anche se si considera che a nostro avviso i tagli dei tassi d’interesse sia negli Stati Uniti che altrove si dimostreranno meno incisivi di quanto prevede il mercato, il che sarebbe una buona notizia per i margini d’interesse bancari. Nel complesso, manteniamo un’allocazione settoriale piuttosto difensiva, con un sottopeso sui titoli IT – dove la crescita degli utili è prossima ai massimi– e un sovrappeso sui beni di consumo di base.

Separatamente, rimaniamo sottopesati sugli Stati Uniti, che offrono una delle peggiori combinazioni di valutazioni (è la regione più costosa nella nostra griglia) e prospettive di crescita. Il rischio di una fase di vendite massicce pare molto probabile, considerato il posizionamento netto piuttosto elevato sui contratti future S&P 500.

La dinamica degli utili si è sostanzialmente deteriorata, misurata dal numero netto di revisioni al rialzo delle previsioni di utili per i titoli componenti dell’indice MSCI World. I margini societari rimangono sotto pressione a livello globale, nonostante l’opinione diversa degli analisti. Riteniamo che gli utili societari continueranno a deteriorarsi e che saranno inferiori alle previsioni degli analisti: i nostri modelli suggeriscono una crescita degli utili per azione dell’1% nei prossimi 12 mesi, rispetto alle previsioni degli analisti di circa l’8%.

Un’isola felice è costituita dall’eurozona, le cui prospettive economiche mostrano un significativo miglioramento. Il nostro indicatore anticipatore è risalito su base mensile per quattro mesi di seguito ed è adesso in territorio positivo, trainato da Francia e Spagna. Il sentiment dei consumatori e condizioni del mercato del lavoro in miglioramento suggeriscono che i consumi dei privati rimarranno di supporto. Un altro fattore positivo sono le prospettive per gli utili. Riportando i risultati del secondo trimestre, oltre il 90% delle società europee ha migliorato o mantenuto le previsioni di profitti per il resto dell’anno, secondo Barclays.

Siamo anche sovrappesati sui titoli britannici e dei mercati emergenti. Il mercato britannico pare interessante per via di valutazioni molto convenienti, originate dalle preoccupazioni per la Brexit – con un rendimento da dividendo al 5% rispetto al 2,5% delle azioni globali. Nel mondo emergente, invece, non solo le valutazioni sono interessanti, ma le previsioni degli analisti per la crescita degli utili societari sono migliorate nelle scorse settimane, superando quelle delle aziende dei mercati sviluppati.

Reddito fisso e valute: carenza di attivi difensivi

In passato le obbligazioni dei mercati sviluppati erano una soluzione affidabile per ridurre la volatilità di un portafoglio d’investimento. Non è più così. Con circa 13.000 miliardi di dollari di questi titoli che presentano rendimenti negativi (il rendimento reale offerto dall’indice JP Morgan Global Government Bond è al minimo storico di -1%) non possiamo giustificare un sovrappeso rispetto al benchmark per un periodo da tre a sei mesi in nessuno degli attivi a reddito fisso che costituiscono il mercato obbligazionario investment-grade.

Abbiamo ridotto la nostra esposizione ai Treasury Usa, portandola a un livello neutro questo mese. A nostro parere, le basi sulle quali si è sviluppato il rally del mercato obbligazionario paiono sempre più instabili.

Per un verso, le previsioni di tagli dei tassi d’interesse sono eccessivamente ottimistiche. Negli Stati Uniti, i Fed Fund scontano attualmente una probabilità elevata di altri tre tagli dei tassi da 25 punti base l’uno nei prossimi 12 mesi. A nostro avviso, si tratta di un atteggiamento molto più aggressivo rispetto alla politica rassicurante che adotterà effettivamente la Fed: la storia mostra che la banca centrale statunitense offre solo riduzioni dei tassi di 100 punti base o più quando l’economia è in fase di contrazione. Inoltre, le pressioni inflazionistiche negli Stati Uniti stanno salendo.

Anche gli indicatori tecnici che monitoriamo hanno sventolato una bandierina rossa. In particolare, il posizionamento degli investitori sulle obbligazioni di Stato mondiali suggerisce che la classe di attivi è attualmente “ipercomprata”, aumentando la probabilità di una vendita massiccia nel breve-medio termine. Anche le valutazioni non offrono sostegno: delle quattro classi di attivi più costose nella nostra tabella delle valutazioni, tre riguardano il reddito fisso. E le obbligazioni di Stato globali, i Treasury Usa e le obbligazioni investment grade statunitensi sono scambiate tutte a circa 1,5 punti di deviazione standard oltre la loro tendenza di lungo termine.

Abbiamo aumentato la posizione sui gilt britannici portandola a neutra, in modo da trarre beneficio dal rischio crescente di una Brexit senza accordo (“no deal”).

Ciò che è ampiamente vero per le obbligazioni di Stato e societarie di qualità investment grade, vale anche per il debito high yield europeo e statunitense, dove siamo sottopesati.

Le prospettive per le obbligazioni sovrane dei mercati emergenti, invece, sono luminose, in particolare per il debito denominato in valuta locale. I rendimenti rimangono interessanti, mentre le valute dei mercati emergenti – una fonte primaria di rendimento per le obbligazioni in valuta locale – sono sottovalutate rispetto al dollaro di oltre il 20% anche se valute come il rublo russo, il rand sudafricano e il real brasiliano hanno guadagnato oltre il 5% rispetto al biglietto verde nel corso di quest’anno.

Separatamente, abbiamo portato l’esposizione al franco svizzero al sovrappeso. In un momento in cui le economie avanzate sono pronte a deprezzare le loro valute, il franco è destinato a tenere meglio delle altre.

Panoramica sui mercati globali: La cautela della Fed non riesce a frenare il rally

Dopo un mese di giugno che ha visto sia i titoli azionari che obbligazionari avanzare sulla scia di toni ancora più accomodanti dalla Fed, i mercati si sono calmati, anche se ancora rialzisti, in attesa della riunione di luglio della banca centrale.

L’ultimo giorno del mese, la Fed ha operato un taglio dei tassi da molti considerato “hawkish”. Ossia, la banca centrale ha soddisfatto le attese abbassando i tassi di riferimento di un quarto di punto, ma il mercato è stato colto di sorpresa quando il presidente Jerome Powell ha affermato che la mossa ha semplicemente rappresentato un ritocco di metà ciclo alla politica, e non l’inizio di una serie più pianificata di tagli.

Eppure, le azioni globali, misurate dall’indice MSCI World sono riuscite a crescere dell’1% nel mese, per un guadagno di circa il 17% finora da inizio anno. Le obbligazioni hanno tenuto quasi altrettanto bene, in aumento di oltre lo 0,5%, secondo il JP Morgan Global Bond. Ancora una volta, le azioni statunitensi si sono trovate in prima fila, raccogliendo l’1,5%, che porta i guadagni da inizio anno ad oltre il 20%. Ma finora da inizio anno le azioni svizzere hanno offerto la migliore performance, in rialzo quasi del 25%. I titoli legati all’IT rimangono i preferiti dal mercato, in crescita del 3,1% nel mese e quasi del 30% da inizio anno, mentre quelli legati all’energia e ai materiali hanno faticato, viste le difficoltà delle materie prime per via della compressione degli scambi. In difficoltà anche i titoli del settore sanitario, nel corso del mese.

Malgrado l’incertezza sull’entità del tono accomodante della Fed, le obbligazioni rimangono sostenute da attese di una politica monetaria più morbida a livello globale. La Banca Centrale Europea sta preparando una serie di misure ad hoc per sostenere la crescita stagnante e puntellare la delusione di un’inflazione debole. Idem per la Bank of Japan e alcune altre banche centrali.

Le obbligazioni di Stato sono cresciute di pari passo con il debito dei mercati emergenti.

Le obbligazioni dei mercati emergenti hanno tenuto particolarmente bene, con le obbligazioni in valuta locale in rialzo di oltre il 9% e le obbligazioni denominate in dollari in rialzo di quasi il 12% nel corso dell’anno, secondo gli indici JP Morgan. Le obbligazioni societarie dei mercati emergenti, nel frattempo, hanno guadagnato l’11% da inizio anno.

Nei mercati dei cambi, ha continuato a dominare la forza del dollaro Usa. La sterlina ha riportato risultati particolarmente negativi, in calo di circa il 4% da inizio anno rispetto al biglietto verde, quasi del tutto realizzato a luglio, poiché gli investitori hanno risposto all’insistenza del nuovo Primo Ministro Boris Johnson secondo il quale la Brexit avrà luogo il 31 ottobre, a prescindere dal raggiungimento di un accordo con l’Unione Europea.

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