Obbligazionario, Lagarde nel solco di Draghi: verso il Qe 2.0

A cura di Peter De Coensel, Fixed Income Cio di Dpam

Ogni giorno si legge che le banche centrali, con le loro politiche monetarie, spingono il rendimento di trilioni e trilioni di euro di obbligazioni in territorio o negativo. Oppure, che gli investitori dovrebbero evitare l’universo obbligazionario. Non solo tali affermazioni sono fuorvianti, in quanto le obbligazioni in un portafoglio diversificato globale offrono ancora oggi rendimenti accettabili, ma dissuadono anche gli investitori a ottenere un corretto profilo di esposizione obbligazionaria. Proviamo a guardare ai rendimenti passati per dare una risposta oggettiva alla domanda: “Perché acquistare obbligazioni?”.

Analizzando le performance di alcune delle nostre strategie obbligazionarie su vari orizzonti temporali, dall’inizio dell’anno a oggi, a tre e poi a cinque anni, due considerazioni possono essere elaborate. In primo luogo, negli ultimi cinque anni le obbligazioni governative denominate in euro hanno registrato performance superiori a quelle ottenute dalle obbligazioni societarie ad alto merito creditizio. In secondo luogo, investire globalmente e allocare correttamente nel mercato specifico dell’alto rendimento sono state scelte che hanno dato i loro frutti. Vogliamo anche smentire l’idea che le banche centrali siano le uniche responsabili di questo mercato obbligazionario rialzista. La causa alla base dell’inarrestabile calo dei tassi a lungo termine è, infatti, lo squilibrio strutturale tra investimenti e risparmi tra gli operatori del mercato pubblico e privato. La riduzione della leva finanziaria, iniziata nel 2008/2009, si fa ancora sentire tra governi e imprese. Le banche soprattutto si distinguono in questo campo. Ciò ha determinato un forte calo dei rendimenti obbligazionari attesi. Tuttavia, non vediamo molti catalizzatori che contrastino questa dinamica. Inoltre, se fossimo così “fortunati” a cogliere un sostegno concreto al rialzo dei tassi, dovremmo comunque aspettarci di vedere riaffiorare rapidamente gli acquirenti che non si sono posizionati prima sul mercato. Quali condizioni potrebbero portare a tassi a lungo termine più elevati? La risposta sta nella combinazione tra un aumento della spesa per investimenti da parte delle autorità pubbliche, una politica reale di abbassamento dei tassi da parte delle banche centrali dei mercati sviluppati e una migliore remunerazione in campo lavorativo. Ciò però richiederebbe un certo grado di fiducia nella crescita globale.

Banche centrali responsabili vs. governi responsabili (e irresponsabili)

Stiamo assistendo all’evidente indebolimento delle istituzioni multilaterali e all’avvento del protezionismo nelle principali economie dei Paesi sviluppati. In un numero crescente di Paesi del G20, i leader nazionali riescono ad ottenere un consenso politico più alto tramite la promessa di tempi migliori per quella parte di elettorato finora “trascurata”. Purtroppo, nonostante questi mirino a ridurre le disuguaglianze, potrebbero finire col provocare l’effetto contrario, poiché una minore crescita avrà un impatto negativo sulle fasce più deboli prima che su quelle più alte. Non abbiamo altra scelta se non quella di contare sull’oculatezza delle politiche delle banche centrali. Le banche centrali dei Paesi sviluppati abbasseranno ulteriormente i tassi reali per stimolare gli investimenti e evitare la trappola della liquidità. Quest’ultima spinge i tassi verso il basso e in una zona negativa.

Ci aspettiamo che la Bce dia il via un secondo ciclo di politica espansiva di Quantitative easing (Qe). Ciò migliorerà la posizione concorrenziale esterna dell’Ue rispetto ai suoi partner commerciali. La prima manovra di Qe, con un aumento della massa monetaria del 25%, ha portato a un deprezzamento dell’euro rispetto al dollaro di circa il 25%. Nonostante la seconda manovra di Qe soffrirà di un impatto di forza decrescente, ci aspettiamo ancora che il cambio euro/dollaro si attesti nuovamente a 1,07 (-5% dai massimi di agosto 2019) e forse anche i minimi del ciclo precedente, pari a1,0340. Tutto dipende dall’aumento atteso della base monetaria dell’Unione Economica e Monetaria (Uem) a seguito di nuovi acquisti di attivi nella forma di titoli di Stato e obbligazioni societarie. L’impatto indiretto sull’aggregato monetario M3 è il fattore determinante per misurare l’impatto sulla valuta. La regola empirica riguardante il cambio euro/dollaro è che un programma che aumenti la massa monetaria del 5% dovrebbe trasformarsi in un deprezzamento del 5% dell’euro rispetto al dollaro. Un programma di acquisto di attivi che aumenti la base monetaria dai 40 ai 50 miliardi al mese su un periodo di 12 mesi dovrebbe portare a un’espansione della massa monetaria di almeno il 5%.

In Australia e Nuova Zelanda, un paio di mesi fa è iniziato un ciclo di riduzione dei tassi d’interesse. La Fed alla fine di luglio ha fatto lo stesso e accelererà la politica accomodante nei prossimi 12-24 mesi. È incerto il punto finale d’arrivo, ma senz’altro non la direzione. I tassi statunitensi dovrebbero scendere verso l’1,00% nei prossimi 12 mesi. La Fed non deluderà sotto questo punto di vista. Cosa succederà se i mercati cominceranno a prezzare lo 0,50% o addirittura lo 0,00% dei tassi della Fed? Una combinazione di entrambi gli scenari rende attraente la parte intermedia della curva dei rendimenti dei Treasury americani, e possibilmente ancora di più i tassi reali (Us Tips). In Europa privilegiamo i tassi governativi reali dell’Area ero. Il profilo di rischio dei tassi nominali profondamente negativi, infatti, non è ottimale. La Bce deve riuscire ad alzare le aspettative di inflazione complessiva. La Riksbank svedese è riuscita in questo intento attraverso, tra le altre manovre, un abbassamento dei tassi sui depositi verso il -1,25%. La curva reale svedese è piatta, con tassi reali intorno al -2,30% a 10 anni. Oggi i tassi reali tedeschi, francesi e spagnoli oscillano rispettivamente intorno al -1,60%, -1,35% e -0,95%. L’inflazione attesa dal mercato dell’Area euro per tutte le scadenze e per tutti i Paesi si situa a un livello ancora basso dello 0,90%. La Bce potrà cantare vittoria nel momento in cui questo indicatore chiave supererà l’1,50%. Al di sopra dell’1,75% la credibilità viene ripristinata.

Come posizionarsi nel mercato obbligazionario

Dobbiamo ascoltare lo stesso disco rotto. Non esiste una costruzione di portafoglio perfetta in quanto le aspettative degli investitori e la tolleranza al rischio sono diverse. Raccomandiamo di diversificare i titoli di Stato tra Paesi sviluppati e Paesi emergenti, privilegiando quelle nazioni che tengono in grande considerazione i valori democratici e i diritti umani dei cittadini. Raccomandiamo anche di prestare molta attenzione alla selezione sia di obbligazioni ad alto merito creditizio sia di obbligazioni ad alto rendimento, purchè gli emittenti societari mostrino un track record di successo nel mantenere i propri bilanci in salute nei vari cicli di rifinanziamento. Osserviamo chiaramente che la dispersione è in aumento con l’avvicinarsi di possibili scenari recessivi, e con l’aumento di rischi idiosincratici e di eventi creditizi specifici per Paese o per azienda. Le banche centrali consentiranno di mantenere costanti le condizioni di liquidità, in modo da supportare gli emittenti solvibili. Alla fine, le banche centrali mirano a mantenere stabile il sistema finanziario.

Ribadiamo che la selezione delle strategie obbligazionarie in un portafoglio è importante tanto quanto il corretto posizionamento tra i vari settori obbligazionari. La flessibilità è una caratteristica che apprezziamo in tutte le strategie di riferimento gestite attivamente e senza vincoli. Invitiamo gli investitori a concentrarsi su queste scelte piuttosto che ragionare su quanto negativi e quanto a lungo possono essere i tassi nominali.

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