Oro, quale posto in portafoglio?

Da un lato le tensioni commerciali tra Stati Uniti e Cina che non sembrano voler cessare e continuano a minacciare le prospettive economiche globali. Dall’altro la Federal Reserve che ha di nuovo ripreso la strada di una politica monetaria accomodante (taglio dello 0,25% dei tassi lo scorso 31 luglio, aprendo la possibilità a ulteriori stimoli).

Una delle principali conseguenze è stata una nuova corsa all’oro tra gli investitori, con il prezzo del metallo giallo ai massimi dal 2013 (1.510 dollari l’oncia al 9 settembre 2019) e gli Exchange traded commodity (Etv) esposti al lingotto che hanno visto flussi record da cinque anni a questa parte (2,57 miliardi di euro di raccolta netta tra giugno e agosto).

Evoluzione dell’indice Morningstar Global Gold NR a un anno

Dati in euro all’8 settembre 2019. Fonte: Morningstar Direct.

Flussi netti trimestrali degli Etc esposti ai metalli preziosi domiciliati in Europa negli ultimi cinque anni

Dati in euro al 31 agosto 2019. Fonte: Morningstar Direct.

“Finchè lo scenario di fondo resterà immutato il cammino rialzista dell’oro potrà continuare, anche se a ritmi di apprezzamento più contenuti e con qualche ripiegamento per le prese di beneficio”, commenta Maurizio Mazziero, fondatore di Mazziero Research ed esperto di materie prime. “Si possono quindi considerare fisiologici cali delle quotazioni anche al di sotto dei 1.500 dollari, purchè il livello di 1.450 dollari venga mantenuto, mentre è probabile che il superamento della zona dei 1.550 dollari spinga i prezzi oltre i 1.610 dollari”.

I pro e i contro dell’investimento aurifero

Lasciando da parte la speculazione di breve periodo, ci si potrebbe chiedere se possa avere senso investire in oro. “Una correlazione bassa e spesso negativa con altre classi di attivi lo rende un’aggiunta desiderabile a un portafoglio esistente di azioni e obbligazioni”, commenta Kenneth Lamont, analista fondi passivi di Morningstar. “Questo perché, secondo la teoria finanziaria, l’aggiunta di attività decorrelate a un portafoglio esistente migliorerà la diversificazione e aumenterà i rendimenti corretti per il rischio a lungo termine”.

Per dimostrare come l’aggiunta di oro a un portafoglio azionario e obbligazionario possa migliorare i rendimenti corretti per il rischio, Lamont ha creato un portafoglio composto dall’indice MSCI World al 60% e dall’indice Bloomberg Barclays Global Aggregate Bond al 40%, chiamandolo “portafoglio A”. In seguito, ha costruito un portafoglio identico con l’aggiunta di una partecipazione all’oro pari al 5%, chiamandolo “portafoglio B”.

Lamont ha poi simulato le prestazioni di entrambi i portafogli. Il portafoglio B (quello col 5% degli asset esposto all’oro) ha registrato un rendimento rettificato in base al rischio più elevato rispetto al portafoglio A per periodi di 5, 10 e 15 anni. Ciò nonostante il portafoglio A ha sovraperformato in rendimenti assoluti a 5 e 10 anni.

Ciò indica che in effetti dedicare una parte della propria allocazione all’oro può portare dei benefici in termini di diversificazione. Da segnalare però che il metallo giallo ha fatto registrare in questi ultimi 15 anni una volatilità più elevata dei titoli azionari a larga capitalizzazione e che è quindi meglio dedicarci solo una piccola fetta del portafoglio.

Dall’altro lato, l’oro non genera profitti o flussi di cassa e non ha un valore intrinseco. I rendimenti sono determinati dalla domanda e dall’offerta, oltre che dalla speculazione, tutti fattori estremamente complessi da prevedere.

“Difficile stabilire la giusta dose di oro da inserire in un portafoglio, dato che dipende dal tipo di investitore”, afferma Mazziero. “Il buon senso suggerisce di non superare il 5% per chi non ha mai investito in oro, mentre chi ha già avuto modo di osservare il comportamento del metallo giallo può gradualmente aumentarne il peso senza superare il 15-20%”.

“Gli aspetti positivi di detenere l’oro sono quelli di possedere un bene rifugio facilmente investibile e universalmente conosciuto, gli aspetti negativi sono associati al fatto che non è esente dalla volatilità e potrebbe venire dimenticato dal mercato per lunghi periodi tempo, come è avvenuto dopo il 2011. Chi investe in oro dovrebbe guardare al lungo termine e munirsi di grande pazienza”, conclude Mazziero.

Gli strumenti a disposizione

Secondo i dati di Morningstar, gli investitori italiani possono contare su 52 fondi comuni esposti a vario titolo alle fluttuazioni dell’oro. Fatta eccezione per l’BGF World Gold, fondo attivo che gestisce oltre cinque miliardi di euro il cui rating è stato recentemente abbassato da Silver a Bronze dagli analisti di Morningstar, la gran parte degli asset (32 miliardi su 40 totali) risiedono in Etc.

Con 7,15 miliardi in gestione, l’ETFS Physical Gold è il più grande tra quelli quotati su Borsa Italiana. Le quote di questo Etc sono una sorta di obbligazioni garantite, non datate e zero coupon, le quali danno diritto ai possessori al pagamento in contanti per un importo pari al prezzo del metallo giallo al momento del rimborso. Tali titoli sono garantiti da oro fisico allocato, detenuto presso Hsbc Bank plc (la Banca depositaria). Ogni singola quota dell’Etfs Physical Gold ha un effettivo diritto su una quantità definita di oro. Questo diritto sulla quantità si riduce quotidianamente per riflettere i costi di gestione, pari a 39 punti base.

A cura di Morningstar

Vuoi ricevere le notizie di Bluerating direttamente nella tua Inbox? Iscriviti alla nostra newsletter!