I dubbi sono fondati, ma esagerati. I settori dell’economia europea più orientati al mercato interno (consumi, edilizia, servizi immobiliari) sono ancora resilienti e non si possono sottovalutare i numerosi effetti positivi del crollo dei tassi di interesse: gli interessi passivi sul debito pubblico, che rappresentano il 2% circa del PIL dell’Area Euro, potrebbero scomparire quasi completamente fra cinque anni, garantendo ai Paesi della regione ampio margine di manovra sul fronte fiscale. Per quanto graduali, i progressi in ambito fiscale non sono affatto trascurabili.
Gli effetti della riduzione dei tassi saranno particolarmente significativi in Italia, dove gli interessi passivi sul debito ammontano al 3,6% del PIL. Tassi di interesse ormai prossimi allo zero dovrebbero facilitare l’attività del nuovo governo europeista di Giuseppe Conte. Inoltre, l’azione della BCE, che sarà sempre più decisa, ha già dato il via a una reflazione nella penisola, come si vede nel settore immobiliare. Una delle principali fonti di rischio in Europa passa quindi in secondo piano. È consigliabile usare ancora prudenza, tuttavia un piano “verde” potrebbe dare un impulso alla crescita nonostante il diffuso scetticismo, almeno nel breve periodo. Da questo punto di vista, un calendario più realistico per la transizione all’auto elettrica darebbe certamente un sollievo.
Permane il rischio di una Brexit senza accordo che farebbe precipitare il Regno Unito in una fase di depressione e peserebbe su tutta l’Europa. Un’uscita disordinata del Regno Unito dall’UE appare tuttavia ancora improbabile poiché implica una situazione di caos da cui nessuna parte trarrebbe vantaggio. Basterebbe risolvere la questione del confine irlandese, unico vero scoglio nelle trattative, per trovare un accordo prima o dopo le nuove elezioni.