Ieri è arrivato da Wall Street un mini-shock con la pubblicazione dell’ISM manufacturing di settembre (47.8 da precedente 49.1 e vs attese per 50), che ha clamorosamente deluso le attese, mostrando la seconda lettura di seguito in territorio di contrazione e marcando il minimo da giugno 2009.
I dettagli confermano la debolezza: i new orders che restano in contrazione a 47.3, e gli export orders che segnano un minimo, perdendo altri 2.3 punti a 41.0, tanto per mostrare da dove viene il rallentamento. Il sottoindice employment segna il minimo dal 2016, a 46.3. In generale, una conferma che il manifatturiero USA ha seguito la sorte di quello globale, e un indicazione che la situazione è assai più deteriorata di quanto ritenuto.
Certo, il manifatturiero in Usa ormai rappresenta poco più del 10% dell’economia. Ma resta però un settore leading del ciclo, e il rischio è che la debolezza filtri nei servizi, come stiamo cominciando a vedere in Eurozone, dove la contrazione del manifatturiero (che pesa assai di più) è in corso da otto mesi.
“Personalmente sono riluttante ad abbracciare appieno il messaggio di questo ISM – avverte Giuseppe Sersale, Strategist di Anthilia Capital Partners Sgr – in quanto mi pare che altre survey diano indicazioni meno negative. E’ il caso del PMI markit manifatturiero, che oggi è stato rivisto, per settembre di 0.1 in rialzo, a 51.1, massimo da aprile. tra l’altro, osservo che questa survey, leading in tutto il mondo ma considerata meno affidabile in US dove gli ISM hanno più diffusione e più storia, nell’ultimo periodo ha anticipato il suo più blasonato omologo”.
Il colpo, comunque si è sentito eccome sui mercati. Wall Street, che guadagnava bene, si è girata, e le prese di beneficio sull’azionario europeo si sono intensificate. “Una volta calmato il polverone, la reazione finale a questo dato ci dirà qualcosa in più sul tono del mercato. Ma occhio all’ISM non manufacturing, in uscita domani” conclude Sersale.