Dalla “Fase uno” della tregua commerciale nuovo slancio per l’azionario cinese e di Hong Kong

A cura di Anthony Chan, Chief Asia Investment Strategist di Union Bancaire Privée (Ubp)

Lo scorso 11 ottobre Cina e Stati Uniti hanno deciso di lavorare a un accordo commerciale parziale. Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump l’ha definita “Fase uno”, mentre le fasi successive serviranno ad affrontare questioni più ampie e fondamentali. Con una rinnovata tregua sul fronte commerciale e con la ripresa dei negoziati, è possibile che, nel breve termine, in vista della Fase uno, ci sia uno slancio positivo sull’azionario. Al di là di questo, tuttavia, la strada potrebbe apparire ancora una volta accidentata, dato che entrambe le parti fanno leva su questioni difficili per colmare le grandi lacune ancora esistenti

Ci sono tre aree principali di discussione e Trump spera di firmare un accordo commerciale parziale con il presidente cinese Xi Jinping alla riunione Apec di metà novembre. Le trattative riguardano l’apertura dei servizi finanziari cinesi, la protezione dei diritti di proprietà intellettuale (Dpi) delle imprese statunitensi in Cina e un’intesa su un patto valutario simile a quello previsto dall’accordo commerciale Usa-Messico-Canada.

A nostro avviso, su queste tre questioni la Cina non avrà difficolta a fare delle concessioni. La riforma dei servizi finanziari in Cina è a un buon punto e permettere una maggiore partecipazione straniera nei settori finanziari nazionali (mercato dei futures, brokeraggio, gestione patrimoniale, assicurazioni, ecc.) rappresenta una minaccia limitata per gli operatori locali, poiché le quote di mercato estero sono sostanzialmente trascurabili. Da quanto abbiamo appreso, le discussioni della Fase uno si sono incentrate sulle questioni relative al diritto d’autore e ai brevetti, escludendo i temi più complessi e delicati della sicurezza informatica e dell’informazione come dei flussi di dati transfrontalieri.

La discussione sul patto valutario è essenzialmente un ritorno a quanto già negoziato in febbraio, prima della rottura dei negoziati commerciali. Sembra più che si tratti di adottare un tasso di cambio orientato al mercato e di aumentare la trasparenza operativa sui cambi. Non vi è alcuna richiesta per un percorso di apprezzamento del renminbi che rispecchia l’accordo del Plaza giapponese del 1985. Anche in questo caso, sembra che la PBoC dovrebbe muoversi ragionevolmente bene data la sua attività sempre più aperta nel fixing quotidiano e il quadro “anticiclico” per segnalare la direzione del renminbi.

Al di là della “Fase uno”, le discussioni sulle questioni fondamentali sono le più difficili su cui raggiungere un compromesso. Le enormi differenze tra Pechino e Washington hanno causato il fallimento dei negoziati commerciali all’inizio di maggio. Esse comprendono la domanda della Cina per lo smantellamento delle tariffe in uscita (in particolare per gli articoli non tecnologici), l’accesso degli Usa al mercato in Cina, i trasferimenti forzati di tecnologie, i sussidi statali cinesi, Huawei e lo sviluppo 5G della Cina, nonché l’attuazione di un sistema credibile (ma accettabile per la Cina) per verificare i progressi della riforma cinese su qualsiasi accordo commerciale.

Il problema più incombente è che la politica statunitense di isolamento della Cina si è ramificata in aree più ampie che hanno un sostegno bipartisan. La questione dei diritti umani dello Xinjiang ha portato all’introduzione nella blacklist Usa dei produttori cinesi di apparecchiature di sorveglianza e al divieto di rilascio dei visti di viaggio ad alcuni ufficiali. Ci sono anche report da cui emerge che gli Stati Uniti stiano prendendo in considerazione misure volte a limitare i flussi di capitali cinesi – delisting degli American Depositary Receipts (ADRs) nei mercati statunitensi, rimuovendo gli asset cinesi dai fondi pensione statunitensi, ed escludendo gli asset cinesi dagli indici globali. Potrebbe esserci un’eventuale approvazione da parte degli Stati Uniti dello Human Rights and Democracy Act di Hong Kong e la rimozione del Usa-Hong Kong Policy Act (che rimuove lo statuto commerciale speciale di Hong Kong come regione autonoma in Cina), il che giocherà contro lo sviluppo economico della Cina.

La tregua commerciale non basta a rilanciare gli utili aziendali

Sembra che Trump abbia imparato a essere più pragmatico e stia adottando un approccio graduale nei confronti della Cina piuttosto che puntare a rovesciare il sistema cinese in un unico colpo. La Cina ha resistito e sta giocando una partita lunga mentre cresce la pressione per una rielezione di Trump. Uno scenario ottimale (anche se ancora poco probabile), a nostro avviso, è che Trump accetti un “accordo a metà” misurati e corra a rivendicare la vittoria durate la campagna per la rielezione.

La tregua commerciale fornirà un certo sostegno agli investitori e al sentiment dei consumatori. Tuttavia, non è sufficiente per rilanciare in modo significativo gli utili aziendali, i piani di spesa in conto capitale, la spesa per i consumi e la crescita della Cina, data la persistente incertezza su quelle questioni fondamentali relative al commercio e all’accesso al mercato, nonché sull’attuale rallentamento strutturale dell’economia cinese.

Detto questo, siamo costruttivi nel breve termine e vediamo uno slancio positivo per l’azionario cinese e di Hong Kong da qui alla firma della Fase uno. I livelli di aprile/inizio maggio – in cui gli investitori erano ottimisti su un accordo commerciale interinale – restano il nostro riferimento di rialzo per entrambi i mercati. Per qualsiasi overshooting dei multipli al rialzo e, in assenza di passi in avanti nelle trattative della seconda fase, è necessaria cautela dal punto di vista del rischio e della ricompensa.

In particolare, ci aspettiamo che l’Hang Seng Index riveda il livello da 28.500 a 29.500 (forward price to earnings o P/E a 11,7x dall’attuale 10,7x) – supponendo che il prolungarsi delle proteste di Hong Kong rimanga costante. L’Msci Cina godrà di un altro 8-10% in rialzo in quanto il forward P/E tratta fino a 12,5x a 13,0x (da 11,7x) con il continuo lancio di stimoli politici.

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