Nuovi presupposti per una tregua commerciale tra Usa e Cina

A cura di Vasileios Gkionakis, Head of FX Strategy di Banque Lombard Odier & Cie SA

Per la terza volta in meno di un anno, gli Stati Uniti e la Cina hanno raggiunto una tregua della loro controversia commerciale. Secondo l’amministrazione Trump ora ci troviamo la “fase uno” dell’accordo bilaterale. La Cina ha assunto pochi impegni concreti (ad esempio maggior acquisto di prodotti agricoli statunitensi) in cambio della sospensione dei dazi supplementari fissata per il 15 ottobre. Gli investitori sono giustamente cauti in merito alla durata del compromesso appena raggiunto. Dopo tutto, non esiste un documento scritto con tutti dettagli su cui fare affidamento e il governo degli Stati Uniti ha già annullato gli accordi precedenti.

Il nostro scenario di base è che entrambe le parti mantengano uno status quo fragile fino alle elezioni presidenziali americane che si terranno alla fine del prossimo anno. Concretamente questo significa che per la maggior parte delle restrizioni commerciali introdotte di recente (dazi, entity list ecc.) non ci sarà alcun significativo cambiamento nel prossimo futuro. Tuttavia è diminuita la minaccia di una nuova escalation, in quanto nessuna delle due parti è motivata ad avanzare nuove provocazioni destabilizzanti, soprattutto se ci sono possibilità che si giunga a una tregua limitata.

A questo proposito, è interessante notare che, invece di mirare a un compromesso immediato e che possa rappresentare un punto di svolta su come viene considerato a livello globale il singolare sistema economico cinese (ad esempio, le imprese statali e la politica industriale), l’amministrazione Trump ha iniziato a suddividere i negoziati in pacchetti di diverso valore. Questo fattore indica una certa disponibilità a concentrarsi sul raggiungimento di tregua fattibile nel breve termine. Dovrebbe essere chiara anche la sensibilità degli Stati Uniti alle turbolenze dei mercati finanziari e del settore agricolo. Nel frattempo, la Cina ha reso la sua politica macroeconomica subordinata alle mosse degli Stati Uniti, in quanto la sua posizione di politica monetaria, al di fuori della volatilità guidata dagli Stati Uniti, favorisce chiaramente la stabilità della moneta locale. Infatti, dopo aver compensato l’impatto delle nuove tariffe statunitensi a partire dal primo 1° settembre, l’indice di riferimento dello yuan sembrava essersi stabilizzato al di sopra di un nuovo minimo di circa 90 (cfr. grafico 9).

Verso la stabilizzazione

Se sia gli Stati Uniti sia la Cina possono in qualche modo trovare un modo per evitare ulteriori provocazioni, allora crediamo che la nostra attuale previsione per il cambio dollaro/yuan leggermente al di sotto della quota 7.0 – da raggiungere a 2020 inoltrato – sia ancora ragionevole, anche se i mercati non subiscono l’impatto di una svolta diplomatica. Visto lo stallo dal punto di vista politico e il continuo rallentamento dell’economia, la Fed avrà l’onere di stabilizzare economica, probabilmente tagliando i tassi ancora altre due volte nei prossimi 6-12 mesi. In questo caso, i tassi onshore della Cina, che ora sono più alti di quelli statunitensi, potrebbero essere sufficientemente interessanti per gli investitori globali (grafico 10). Infatti, sembra che gli afflussi esteri siano proseguiti a settembre nonostante i rumours legati al commercio, forse in parte supportati dal fatto che la Cina sia stata inclusa nei principali indici obbligazionari.

Il nostro punto di vista trova modesto sostegno anche dai dati macroeconomici di settembre, che sembrano indicare una certa stabilizzazione dopo un difficile inizio del terzo trimestre (visibile nella crescita del Pil inferiore alle attese del 6,0% anno su anno). La crescita degli aggregati creditizi si attesta intorno all’11% anno su anno e l’attività sembra in ripresa nonostante il nuovo shock tariffario di inizio del mese (grafico 11). Questa nuova pace appena ritrovata potrebbe ovviamente terminare qualora gli Stati Uniti applicassero maggiori dazi alle esportazioni cinesi e la Cina passi al contrattacco. In questo scenario di nuove minacce in ambito tariffario (5% su 250 miliardi di dollari e 15% su 160 miliardi di dollari), il rapporto dollaro/yuan potrebbe salire a 7,50. Viste le nuove notizie più incoraggianti, riteniamo che questo scenario abbia solo il 15% di probabilità di concretizzarsi.

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