Il dollaro? Rende poco, ma fa guadagnare

di Michele D’Antoni

…vista la debolezza del dollaro e la forza dell’euro, si assistesse alla corsa di asset americani da parte degli europei o dei possessori di altre valute. Invece, non è mica tanto vero. Ossia, c’è sì una corrente di acquisti sul mercato Usa ma è meno forte di quello che ci si potrebbe immaginare. Il primo motivo è che la liquidità sui mercati sta tornando ma non è ancora a livelli altissimi. Quindi gli investimenti duraturi vengono molto selezionati. Se si compra un appartamento a Manhattan si mette lì un bel gruzzolo di milioni ma lì restano investiti per lungo tempo. Invece, la speculazione, che è quella che opera a leva muovendo i capitali più ingenti, si muove con molta più rapidità. Preferisce vendere dollari per acquistare su piazze dove i rendimenti sono più alti. Per esempio, ragionando per semplice approssimazione, chi si indebita in dollari (vendendo quindi la valuta Usa) e compra asset in dollari australiani, si indebita all’1,5% mentre può puntare a un rendimento del 3%. È un po’ quello che alcuni anni fa succedeva con lo yen che ha sempre avuto tassi bassissimi persino tendenti allo zero. Il fenomeno si chiama carry trade ed è oggetto di grande attenzione da parte di analisti e commentatori che, viste le sue crescenti dimensioni, temono possa generare un’altra bolla speculativa con chissà quali conseguenze. Sono timori che ormai vanno di moda, dopo le topiche prese sulla la Grande Crisi proprio dagli analisti e dagli economisti che ormai esprimono i loro giudici solo nel segno della massima cautela.
Ma il dollaro debole, alla fine, fa comodo a tutti. Agli americani prima di tutto che lo usano come face va l’Italietta di qualche decina di anni fa con la speculazione competitiva. Quindi, oggi i prodotti americani sono molto, molto competitivi sui mercati tutto il mondo. Un meccanismo che sicuramente ha aiutato l’economia Usa a riprendersi dalla crisi. Il dollaro debole, tra l’altro, fa contenti anche i grandi produttori di tutte le materie prime denominate in dollari: dal petrolio ai minerali, ai prodotti agricoli. Il motivo è semplice: i produttori vogliono tutelare il valore della loro merce, così, in presenza di un aumento della domanda, se il dollaro scende, per esempio, 5%, gli arabi aumentano il prezzo del petrolio per compensare. Così come gli altri produttori di materie prime. E quando si gioca al rialzo…

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